«In Romagna biodiversità e paesaggi sono una ricchezza da preservare, anche per il turismo». Parla il comandante dei Carabinieri forestali regionali

Rimini
  • 20 ottobre 2025

RIMINI. Il dissesto idrogeologico, il rapporto fra l’uomo e la fauna selvatica, la presenza degli alberi nelle città, la qualità ambientale della fascia costiera romagnola. Il bolognese Aldo Terzi, da poche settimane comandante regionale dei Carabinieri forestali, in questa intervista, affronta alcuni dei temi al centro del dibattito ambientale romagnolo e si dice convinto che il paesaggio della Romagna sia una ricchezza da conservare e preservare anche in chiave turistica. Lo dice anche alla luce dei tanti anni passati alla guida dei forestali riminesi e per l’esperienza maturata da residente a Rimini.

Comandante, quanti siete e come vi muovete nel contesto regionale?

«Sono diventato comandante di circa 400 donne e uomini specializzati nel controllo ambientale e nella salvaguardia del patrimonio naturale della nostra meravigliosa regione. I carabinieri forestali sono distribuiti in maniera capillare in 74 presidi che sono i nuclei forestali, parco e biodiversità raggruppati in 5 gruppi e 2 reparti che li dirigono anche attraverso nuclei investigativi specializzati. Proprio la forte specializzazione ambientale unita alla presidiarietà territoriale ci consentono di essere, allo stesso tempo, sentinelle e custodi delle risorse ambientali e naturali dell’Emilia Romagna».

Negli ultimi anni il tema della gestione del territorio, anche alla luce di eventi meteo estremi, è diventato importantissimo, in particolar modo in Romagna. Che ruolo giocate di fronte al dissesto idrogeologico?

«Nel DNA dei carabinieri forestali è presente il contrasto al dissesto idrogeologico. Sono state realizzate nel dopoguerra, proprio sotto la guida dei forestali, le sistemazioni idrauliche in montagna che fino a pochi anni sono riuscite a limitare i danni degli eventi meteorici straordinari che hanno interessato il nostro territorio riducendo la velocità di corrivazione delle acque e di conseguenza frane e inondazioni. Oggi quotidianamente controlliamo le movimentazioni di terra che vengono effettuate nelle aree che sono sottoposte al cosiddetto “vincolo idrogeologico”, in pratica quasi tutto il territorio collinare e montano regionale».

E rispetto agli episodi degli ultimi due anni?

«Con riferimento agli effetti disastrosi dei due anni trascorsi che hanno colpito in particolare la Romagna ma anche la Città Metropolitana di Bologna siamo stati a fianco delle Amministrazioni nell’emergenza e in questo momento collaboriamo con il Commissario alla ricostruzione, con la Regione e con gli Enti locali nello svolgimento di controlli mirati sulla regolarità dei lavori di ripristino dei danni e su eventuali segnalazioni di criticità. Sotto la direzione dell’Autorità Giudiziaria stiamo verificando la sussistenza di eventuali illeciti penali in questi ambiti».

In particolare?

«Abbiamo posto particolare attenzione ai tagli della vegetazione sulle sponde di fiumi e rii, in collina e montagna; tagli “delicati” che devono essere realizzati con il duplice obiettivo di permettere alla vegetazione presente di frenare la velocità delle acque e quindi contenere l’erosione senza però ostruirne lo scorrimento. Particolare attenzione stiamo mettendo nella verifica dei cantieri forestali lungo le aste fluviali per evitare che, come accaduto in passato, il legname tagliato venga depositato all’interno nel sedime fluviale; questo per evitare che, con gli eventi di piena , i tronchi tagliati, trascinati dalla corrente, scendano verso valle andando a creare problemi di scorrimento in presenza di ostacoli come ad esempio i ponti, ostruendoli».

Il rapporto tra fauna appenninica e uomo sembra diventato più difficile. In particolar modo di recente a balzare più spesso agli onori della cronaca è il lupo. Se fino a poco tempo fa le lamentele giungevano soprattutto dagli allevatori privati di capi di bestiame, ora si segnala l’uccisione di animali domestici come il cane o il gatto. è un allarme esagerato o qualcosa è cambiato?

«Negli ultimi anni siamo spesso chiamati a intervenire su situazioni che riguardano l’interazione tra uomo e animali selvatici che vedono l’opposizione di estremismi spesso privi di competenze specifiche e con motivazioni di parte. La materia è spesso trattata in maniera settaria con i fazioni contrapposte che raccontano e descrivono la realtà in maniera parziale e capziosa spesso utilizzando in maniera impropria i social e i mass-media. Penso che essenziale debba essere il rispetto della straordinarietà della natura è dei suoi meccanismi di sviluppo e regolamentazione, senza timori e senza avere la presunzione che tutto il creato debba rispondere solo alle esigenze antropiche. Detto questo proprio perché le dinamiche della fauna selvatica sono fortemente condizionate dalla presenza e dalle azioni dell’uomo non possiamo non gestire questi fenomeni».

E se pensiamo al lupo?

«Se pensiamo al lupo, la sua diffusione e l’ormai acclarato superamento dei problemi legati alla sua estinzione, sono senz’altro il frutto di politiche di protezione ma è fondamentale ricordare che la principale ragione della diffusione del lupo è stata la disponibilità di prede a volte cresciute in maniera abnorme proprio a seguito di politiche e azioni dell’uomo; basti pensare ai cinghiali o alle nutrie. Il lupo, nel disegno della natura, è lo strumento per equilibrare queste distorsioni spesso legate agli errori umani nella gestione della fauna selvatica».

Ma negli ultimi tempi la sua presenza è aumentata...

«Sì, negli ultimi tempi è quindi accaduto che il numero di esemplari di lupo è aumentato e la presenza si è diffusa in areali più ampi e non usuali anche perché le prede tradizionali del lupo hanno occupato nuovi areali, pensiamo alla diffusione dei cinghiali in collina e pianura. La popolazione di lupo è aumentata e, in certi casi, ha approfittato della disponibilità di cibo rappresentata da allevamenti e recentemente da piccoli animali domestici. Si tratta di casi limitati, rispetto al numero di esemplari presenti nel territorio, nei quali qualche esemplare di lupo ha sperimentato modelli di caccia diversi da quelli “abituali” cibandosi di prede non usuali, appunto gli animali domestici di piccola taglia ma anche altri animali come ad esempio le nutrie».

Conseguenze?

«Questo ha fatto aumentare le preoccupazioni delle persone e il conflitto tra i diversi portatori di interessi. In alcuni casi in Emilia, cani e gatti predati dai lupi vicino alle stalle per la produzione del latte per il Parmigiano Reggiano, sono stati attratti proprio dalla illecita modalità di smaltimento delle placente e degli animali morti nelle concimaie. L’individuazione e la rimozione del problema ha allontanato i lupi. Questo è solo un esempio per dire che il problema andrebbe affrontato in maniera seria, puntuale, senza allarmismo e senza fanatismi evitando in maniera assoluta di affrontare questo fenomeno in maniera frettolosa e semplicistica. Dobbiamo assolutamente evitare che i nostri lupi perdano la loro ancestrale paura nei confronti del genere umano diventando confidenti e quindi molto simili ai nostri cani ma con una forte componente selvatica innata; questa eventualità è quella che desta maggiori preoccupazioni».

Il rapporto fra uomo e natura in Romagna è sempre stato un tema importante anche sulla costa, sin dall’edificazione selvaggia negli anni del boom turistico. Eppure ancora oggi il fratino e la Tartaruga Caretta Caretta con la loro scelta di nidificare sulle spiagge romagnole sembrano volerci richiamare a una maggiore attenzione a questo rapporto. è possibile la convivenza con il turismo di massa?

«Fratini e tartarughe sono l’esempio della potenza e della capacità della natura di colonizzare, di riportare la vita, in aree marginali e degradate, a livello naturale, come sono le nostre coste. In realtà la costa adriatica ferrarese e ravennate è da decenni scrigno di biodiversità che si è sviluppata vicino ad aree fortemente urbanizzate e industrializzate. La presenza di fratini e tartarughe marine anche lungo le spiagge della riviera riminese conferma non solo questa capacità di rigenerazione e di adattamento ai mutamenti climatici della fauna ma rappresenta anche la conferma di come i nostri ambienti litoranei, nonostante la totalizzante presenza del turismo, abbiano conservato la propria qualità ambientale. Senza scegliere di dedicare qualche piccola porzione di costa allo sviluppo naturale come accaduto nelle province di Ferrara e di Ravenna difficilmente sarà possibile una convivenza non occasionale tra fauna e flora selvatica litoranea con il turismo di massa. È necessario per questo che ci siano alcuni habitat dedicati a questo scopo. L’attenzione e la cura con le quali associazioni di cittadini, turisti e anche bagnini si sono fatti carico di proteggere nidi e uova sono la speranza che una rinaturalizzazione di piccole porzioni di costa possa essere una scelta da perseguire come obiettivo di diversificazione dello sviluppo del territorio e dell’offerta turistica».

Ha destato molto scalpore il crollo di centinaia di pini a Cervia durante la tempesta che si è abbattuta questa estate. E del resto, ci sono molti cittadini che si battono per evitare il taglio di questi alberi in altre zone, per esempio Lido di Savio. è necessario cambiare essenze arboree o ci sono altre precauzioni da prendere?

«Gli alberi sono portatori di enormi benefici anche per gli ambienti antropizzati. Città senza alberi sarebbero inospitali e invivibili. Rinunciare agli alberi in città perché, di fronte a episodi climatici estremi, possono cadere e fare danni non può essere la soluzione per una corretta gestione del problema. Sarebbe come dire che non useremo più le automobili per evitare la mattanza degli incidenti stradali. Superando la logica dei gruppi contrapposti è necessario che gli uffici tecnici delle città che normalmente curano la gestione del patrimonio arboree comprendano a pieno il ruolo fondamentale degli alberi anche assumendo persone con competenze specifiche, che ne conoscano e ne rispettino le esigenze cercando di conservare gli esemplari esistenti che già assicurano benefici ambientali per la collettività. Allo stesso tempo, in maniera graduale e ragionata, va perseguita una diversificazione delle specie presenti nei contesti cittadini. La migliore risposta agli eventi estremi, ai parassiti e alle malattie sta proprio nella varietà delle specie utilizzate».

E quindi?

«Questo non significa abbattere piante sane che non presentano problemi ma sostituire gradualmente quelle malate o quelle che sono ormai collocate in contesti che le rendono pericolose. Non si può pensare di abbattere tutti i pini di Cervia perché un evento estremo ne ha fatto cadere alcune decine però pensare di sostituirle con alberature di specie diverse è, a mio avviso, una possibilità da tenere in forte considerazione. L’obiettivo deve essere quello di diversificare le specie forestali presenti anche nelle città per migliorare qualitativamente il patrimonio arboreo cittadino rendendolo più sicuro e resiliente».

Se c’è un fronte che sembra al momento tranquillo è quello degli incendi boschivi. Negli ultimi anni non si sono registrati fenomeni gravi. è solo fortuna?

«Gli incendi boschivi sono fortemente influenzati dal clima. Negli ultimi tre anni, nonostante temperature altissime in estate, la ricchezza di acqua nel terreno per le piogge primaverili e autunnali unita alla forte umidità atmosferica estiva hanno tenuto basso, per lunghi periodi, il rischio di incendio boschivo. Tuttavia ritengo vada segnalata l’imponente attività di controllo e prevenzione svolta dai carabinieri forestali su tutti i fuochi che, a vario titolo, vengono accesi in regione. I dati di illeciti amministrativi uniti alla individuazione, in moltissimi casi, di cause e di autori degli incendi, sono ad attestare l’efficacia del sistema di controllo. Accanto alla riduzione del numero di incendi bisogna notare che il sistema di spegnimento regionale, con il coinvolgimento di Vigili del Fuoco e Protezione Civile, è molto efficace e riduce l’estensione degli incendi. Tuttavia è necessario tenere sempre alto il livello di guardia perché anche negli ultimi tre anni qualche incendio boschivo ha assunto dimensioni ragguardevoli».

Lei è impegnato da tantissimo tempo sul fronte della tutela ambientale. Nel corso di questi anni ritiene che la coscienza civica dei romagnoli sia cambiata in meglio o in peggio? Ha qualche ricordo particolare in proposito?

«Ritengo che, in generale nella popolazione italiana, la coscienza civica ambientale non sia migliorata. La tendenza a ricercare soluzioni veloci e semplicistiche a problemi complessi, la difficile individuazione delle responsabilità e la minore presenza di competenze specifiche nelle amministrazioni pubbliche stanno minando le sicurezze anche di coloro che, per cultura, per formazione e per età sono attenti all’ambiente, per esempio i giovani».

E per la Romagna?

«Sull’ambiente, nella mia esperienza, la gente di Romagna è capace di grandi attenzioni e commoventi azioni e nello stesso tempo può commettere illeciti molto gravi. Tornando alla fauna, a lupo e fratino, ricordo con affetto le attenzioni di volontari per il recupero e la liberazione del lupo SIC e le premure per salvare i piccoli fratini nati in mezzo agli ombrelloni. Ricordo però anche la violenza e la crudeltà di chi ha ucciso e appeso un lupo ad una pensilina ad Ospedaletto o di chi conduceva un allevamento lager a Santarcangelo dove i cavalli erano fatti morire di stenti per mancanza cibo senza alcuno scrupolo.

La presenza di habitat diversi e preziosi, la biodiversità ricca e diffusa, la presenza di così tanta bellezza nei paesaggi della Romagna sono la speranza che prevalga il desiderio e la volontà di conservare e preservare una tale ricchezza. Riprendendo il pensiero di Tonino Guerra la Romagna è un posto dove la bellezza, anche della natura, può facilitare relazioni serene e fruttuose».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui