Indagine su un mito e sui suoi “discepoli”

Rimini

FORLÌ. Mentre il mirabile affresco della Madonna del parto è conteso tra il ministero – che lo vuole riportare nella cappella del cimitero di Santa Maria in Nomentana, dove si trovava in origine – e il Comune di Monterchi – che dopo averlo staccato dal camposanto ha costruito nel 1992 un museo apposito in centro per ospitarlo – il suo autore Piero della Francesca è ora protagonista a Forlì, città che lo celebra con una grande mostra: circa 250 opere di grandi artisti del passato – Antonello da Messina, Giovanni Bellini, Degas, Odilon Redon fino al Novecento di De Chirico, Carrà, Balthus e Edward Hopper – affiancate ad alcuni capolavori del pittore quattrocentesco che aprì le porte al pieno Rinascimento.
Il maestro e coloro che nel corso dei secoli sono stati influenzati dal suo genio saranno in mostra dal 13 febbraio al 26 giugno nei Musei San Domenico.
Piero della Francesca. Indagine su un mito è la nuova, importante esposizione che ha lo scopo non facile di illustrare quanto le soluzione espressive, intrise della passione del maestro per la matematica e la geometria, abbiano continuato a influenzare generazioni di artisti fino ai nostri giorni. Una vera e propria sfida, se si pensa che Piero è stato soprattutto uno straordinario autore di affreschi (come le celebri Storie della vera croce del duomo di Arezzo), mentre le pale d’altare e le fragili tavole sono poche e in gran parte inamovibili. È dunque un’impresa, spesso insuperabile, riuscire a ottenere questi prestiti eccezionali.
E se a Forlì arriveranno capolavori come la Madonna della misericordia (dal Museo Civico di Sansepolcro), la Sant’Apollonia della National Gallery of Art di Washington, il San Gerolamo e un devoto delle Gallerie dell’Accademia di Venezia o la Madonna col Bambino della collezione privata Alana di Newark, Stati Uniti (opera rinvenuta sul mercato antiquario meno di dieci anni fa), compito altrettanto arduo per i curatori (Antonio Paolucci, Daniele Benati, Frank Dabell, Fernando Mazzocca e Paola Refice, diretti da Gianfranco Brunelli) è stato quello di potervi affiancare i dipinti capaci di testimoniare l’omaggio al genio di Piero avvenuto (dopo un lungo oblio) solo a partire dal XIX secolo.
La mostra, realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune, si snoda dunque in un dialogo ininterrotto tra capolavori di epoche diverse, per illustrare in che maniera la straordinaria complessità del pittore aretino è stata compresa e metabolizzata a distanza di secoli.
Il percorso prenderà le mosse dalla generazione di artisti a lui successiva come Marco Zoppo, Francesco del Cossa, Luca Signorelli, Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano, ma anche Giovanni Bellini e Antonello da Messina.
Un filo rosso che oltrepassa i secoli per indagare l’influenza esercitata da Piero nella modernità. Ecco quindi la sua eredità nei Macchiaioli come Borrani, Lega o Signorini, e in molti artisti europei: da Johann Anton Ramboux o Charles Loyeux, fino alla fondamentale riscoperta inglese del primo Novecento, legata in particolare a Roger Fry, Duncan Grant e al Gruppo di Bloomsbury.
Un’eco di Piero della Francesca si ritrova in Degas, Seurat e Signac, nei percorsi del Post impressionismo, tra gli ultimi bagliori puristi di Puvis de Chavannes, nelle sperimentazioni metafisiche di Odilon Redon e, soprattutto, nelle vedute geometriche di Cézanne.
La fortuna novecentesca dell’artista è invece affidata agli italiani Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Funi, Campigli, Ferrazzi, Sironi, confrontati con fondamentali artisti stranieri come Le Corbusier, Balthus e Edward Hopper. Ovvero, coloro che hanno consegnato l’eredità di Piero alla piena e universale modernità.

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