Eccola, la Madonna Diotallevi è tornata a Rimini dopo 178 anni
- 17 ottobre 2020

Un binocolo, una galleria circoscritta da lunghi tendaggi color nero antracite; al centro una scheggia rossa, uno iato, un sipario – realizzato dall’architetto Alessandro Mori – che allo stesso tempo nasconde e indica, attira e prelude. Poi, in fondo, incorniciata in una scatola prospettica che ne esalta colori e profondità, eccola lì: la Madonna appartenuta al gonfaloniere riminese Audiface Diotallevi e ora tornata a casa: «Finalmente ci siamo, diamo il via alle celebrazioni» esordisce l’assessore Giampiero Piscaglia. E bisogna proprio celebrarla quest’opera meravigliosa di un Raffaello neppure ventenne (siamo agli inizi del Cinquecento), debitore al suo maestro Perugino nella composizione della madre col bambino, ma allo stesso tempo capace di intuire le novità leonardesche, come si vede nel San Giovannino con cui si compone e chiude il sacro triangolo: a spiegarlo è il curatore Giulio Zavatta, che insieme al Comune ha lavorato a lungo per questo risultato eccezionale. Non è stato facile avere un Raffaello proprio quando tutti lo celebrano a 500 anni dalla morte, ma la Gemäldegalerie di Berlino ha preferito il Museo della Città alle Scuderie del Quirinale, che pure lo avevano richiesto, perché la Madonna tornerà in Germania con un apparato di studi, con una storia che non si conosceva e tante informazioni in più. Ed è questo uno dei motivi che hanno consentito di portare il quadro qui. E poi naturalmente perché i tedeschi hanno ottenuto il richiestissimo Bellini riminese, quella Pietà che così di frequente funge da ambasciatrice della città in giro per il mondo. Dipinta probabilmente in Umbria, benché precoce questa Madonna può già essere considerata nodale nel percorso artistico dell’urbinate. Nel corso degli anni l’opera è stata studiata da molti critici, Passavant, Bode, Cavalcaselle, Morelli, Fischel, Venturi fino a star come Berenson e Longhi, ma in realtà di cose da scoprire ce ne erano (ce ne sono) ancora molte: Diotallevi, che abitava in via Tempio Malatestiano, neppure sapeva di avere in casa un Raffaello. Bisognerà aspettare l’acquisto da parte dello storico Waagen, nel 1842, per stabilirne una attribuzione oramai certa. La pagò 150 talleri luigini, «poiché questo dipinto presumibilmente sarà uno dei più richiesti al mondo». Ci aveva visto lungo. Non è dato sapere come la tavola arrivò a casa Diotallevi: sono passati 178 anni, e ora è di nuovo a Rimini, in pompa magna. Oggi, nella piccola galleria al primo piano del museo, accompagnano la Madonna Diotallevi altri due pezzi appartenuti alla dispersa collezione: il Crocifisso di Giovanni da Rimini, donato da Adauto Diotallevi al museo cittadino nel 1936, e l’Incoronazione della Vergine di Giuliano da Rimini (meglio nota come polittico del duca di Norfolk) appartenuta allo stesso Audiface, che è stata restituita alla città nel 1998 grazie all’intervento della Fondazione Cassa di Risparmio. Per il sindaco Andrea Gnassi, che ha in comune con Diotallevi la carica e il fatto di avere posato come lui la prima pietra del teatro, «non si parli di estemporaneità né di eventismo (a parte che gli eventi in Italia producono 40 miliardi di euro): noi abbiamo scelto la cultura, abbiamo scelto di far sposare tradizione e innovazione, vedi il trecentesco Giudizio Universale esposto al museo di arte contemporanea Part. Oggi a Rimini al posto dei motori immobiliari ci sono i motori culturali. E al posto di un grattacielo ipotizzato in piazzale Kennedy c’è un nuovo sistema fognario. Perché l’investimento in cultura è decisivo anche per l’ambiente». «Faccio un appello alla Diocesi – dice Gnassi –: adesso dobbiamo avere coraggio e fare il museo del Trecento diffuso. Anche il Museo della Città verrà riorganizzato. Ma non si può continuare col modello Ddr, servirebbe un privato che scommetta sulla cultura». Imprenditori, siete in ascolto?