Da Rimini all’Australia. Lo chef: «Così racconto le tradizioni culinarie degli aborigeni»

Rimini

«Raccontare su YouTube la tradizione culinaria degli aborigeni d’Australia». Questo l’ambizioso progetto ideato dal riminese Gianandrea Saccone, 29enne residente in pianta stabile nella terra dei canguri dal 2015, dopo una prima toccata e fuga nel 2013 seguita dalla parentesi di un anno a Londra. Ormai torna in Romagna solo una volta ogni quattro anni, fatica a parlare in italiano e sogna in inglese. Di romagnolo, però, continua a sfornare «passatelli, tortellini e cappelletti in brodo anche se qui - precisa - fa caldo tutto l’anno e puntare su formaggi e affettati viene naturale». Al momento riveste il ruolo di head chef in un ristorante italiano di Brisbane, il “Voglia”, che sorge in un quartiere hippy dove la clientela viene a mangiare scalza. In precedenza ha incrociato i mestoli per 8 anni in uno dei migliori ristoranti italiani, ovvero “Otto”, prima nella sede di Sidney e poi in quella di Brisbane ma ha lavorato anche per il teatro locale e il governo.

Saccone, cosa bolle in pentola?

«Partirò presto con Mary, la mia ragazza che è di origine neozelandese, per un giro dell’Australia che vedrà postare sul nostro canale YouTube suggestioni, storie e ricette. Sarà un viaggio gastronomico lungo 40mila chilometri da macinare con calma godendosi paesaggi e emozioni. “Due cuori e una capanna” non sarebbe però la giusta definizione. Daremo infatti voce a molte delle comunità aborigene presenti in Australia da almeno 60mila anni e scopriremo assieme i prodotti che usano per cucinare. L’idea, a cui lavoriamo da un paio d’anni, è di trasformare il percorso in una trasmissione tv e in effetti abbiamo già pronto il format e sono 7 anni che andiamo in campeggio estremo, il cosiddetto “off the grid” (fuori rete, ndr). Tra gli spettacoli indimenticabili che abbiamo condiviso c’è il deserto australiano che ricorda l’atmosfera di Marte e il tripudio di colori, che cambia a seconda delle ore del giorno, che trascolora le rocce di Uluru, più noto come Ayers Rock. E non finirà qui: più avanti allargheremo questo progetto ai Maori della Nuova Zelanda».

Nella sua avventura l’aiuterà l’esperienza vissuta da adolescente alla Scuola alberghiera e di ristorazione di Riccione?

«La combinazione tra scuola e lavoro a cui prepara lo Ial è stata più utile di molti altri studi. Oltre alle competenze, sarà la presenza di Mary a sostenermi: ci siamo conosciuti sotto a un ponte (ride, ndr) dall’altra parte del mondo. Lei era in pausa ed è andata a fumare, io uscivo da un altro locale e ho colto l’occasione al balzo. Galeotta fu una sigaretta, dopodiché le ho chiesto il segno zodiacale per attaccare bottone. Diciamo che da allora le stelle non hanno mai smesso di benedire la nostra unione».

Un prodotto aborigeno versatile anche in altre culture?

«Il finger lime o caviale di limone: è un frutto grande due volte una giuggiola che contiene piccole sfere di tre colori diversi - verde, giallo e rosso - che sono un vero concentrato di sapore. Il resto è tutto da scoprire. Cucineremo sotto le stelle e entreremo nelle riserve con il permesso degli anziani. L’Australia, va detto, non manca di contraddizioni come qualunque altro paese: alla ricchezza si uniscono sacche di povertà impressionante, senza dimenticare che fino al 1958 gli aborigeni erano ancora classificati come animali».

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