Accusata di omicidio colposo, dottoressa assolta dopo 7 anni di calvario

Rimini
  • 26 gennaio 2024

Visto l’articolo 530 comma 1, il tribunale di Rimini assolve l’imputata «perché il fatto non sussiste». Si è conclusa dopo quasi sette anni dall’iscrizione nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Rimini con una sentenza che non lascia margine interpretativo la vicenda giudiziaria di una dottoressa all’epoca dei fatti in forza al pronto soccorso dell’ospedale di Cattolica, accusata di non aver diagnosticato la trombosi costata la morte il 3 agosto a un 56enne residente a San Giovanni in Marignano.

Un caso surreale, lo definisce il suo legale l’avvocato Leonardo Bernardini. Il motivo? La vittima era stata visitata due giorni prima dell’evento funesto per tutt’altro malanno: «La mia cliente non poteva avere la sfera di cristallo per sapere cosa sarebbe accaduto 72 ore più tardi».

La storia

è il 31 luglio del 2017 quando la vittima - la cui famiglia si è costituta parte civile con gli avvocati Signorini e Parolieri, legali del Foro di Pesaro Urbino il primo e di Perugia il secondo - si presenta al pronto soccorso dell’ospedale Cervesi. Il motivo? Al triage prima e alla dottoressa che lo prende in carico poi, dice di avere un forte dolore ad una spalla sinistra, dolore manifestatosi dopo aver lavorato per diverse ore nell’orto. La dottoressa che è di guardia dopo la visita, escluso si trattasse di un problema cardiaco, dell’avvisaglia di un infarto, gli prescrive un antidolorifico e lo rimanda a casa.

La tragedia tre giorni dopo

è la tarda mattinata del 3 agosto quando l’uomo viene riaccompagno al pronto soccorso del Cervesi. Questa volta il problema è rappresentato da una gamba gonfiatasi in modo anomalo. Gli accertamenti diranno che la causa è la formazione di una trombosi. L’embolia generata, purtroppo, raggiunge il cuore e nonostante tutti i tentativi per salvargli la vita, causa in serata la morte del 56enne.

L’inchiesta

La direzione sanitaria dell’Azienda Usl, come da prassi prima e in seconda battuta i parenti della vittima, portano il caso all’attenzione degli uffici al terzo piano del palazzo di giustizia di Rimini. Questi ultimi con i loro legali lo fanno scrivendo il nome del medico nell’esposto denuncia dove ipotizzano la colpa medica ravvisando un collegamento tra la prima e la seconda visita. La dottoressa nomina subito suo legale l’avvocato Leonardo Bernardini, che al Gup, chiamato a decidere sul rinvio a giudizio della sua assistita, chiede una nuova perizia in forma di incidente probatorio. La dottoressa finirà a processo nonostante le risultanze dell’accertamento tecnico escludano una possibile correlazione tra gli eventi.

L’epilogo

Due giorni fa, come detto, l’atto finale, con la giudice Elisa Giallombardo che dopo una brevissima camera di consiglio ha emesso la sentenza con cui ha scagionato completamente la dottoressa ora in forza al pronto soccorso di un’altra città romagnola, «perché il fatto non sussiste», ovvero il presunto reato non si è mai verificato.

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