20 anni senza Marco Pantani. i mille dubbi, i sei misteri, le tre inchieste e una sola conclusione: «Non fu omicidio»

Rimini

Come per ogni uomo che diventa mito, anche per Marco Pantani il tempo non ne appannerà mai la fama. E come per ogni personalità controversa scomparsa alla vita in maniera innaturale, il mistero della fine del “Pirata” farà sempre parte della storia sportiva e umana del ciclismo italiano. Prova ne è che, a 20 anni esatti dalla sua morte, ancora oggi c’è chi si interroga sulle circostanze e sui motivi che portarono alla fine dell’esistenza del “Migliore”, per citare il film del cesenate Paolo Santolini. C’è ancora chi non si capacita dell’inevitabile conclusione a cui tre inchieste giudiziarie sono giunte nel corso di questi vent’anni. Sicuramente tra questi, colei che mai si è potuta rassegnare, c’è mamma Tonina. E’ lei che ha combattuto nel 2014, a 10 anni dalla morte del figlio, e poi nel 2021, per far ripartire le indagini della Procura di Rimini alla ricerca di una verità che assopisca la sua coscienza e quella dei tanti tifosi e collaboratori del campione. Alla famiglia Pantani, queste inchieste sono costate molto in termini psicologici ed economici, con un conto in euro che tra assistenze legali, perizie e investigazioni in 20 anni sono costate quasi 2 milioni di euro.

La prima indagine

Marco Pantani morì la sera di San Valentino, il 14 febbraio del 2004. Le indagini immediatamente dopo la scoperta del corpo nell’appartamento D5 del residence Le Rose, furono affidate dall’allora sostituto procuratore, Paolo Gengarelli, alla squadra mobile della Questura di Rimini. Nella stanza, chiusa dall’interno e messa a soqquadro, il corpo di Marco a terra vicino al letto. Gli occhi del campione semiaperti e senza vita, addosso una t-shirt. Quelle foto in molti le ricordano, soprattutto i poliziotti che lavorarono al caso e che sapevano bene di dover trovare risposte e di doverle trovare in fretta. Non passò molto tempo, un paio di mesi e le persone “vicine”, gli amici delle nottate in Riviera furono identificati e indagati. Fabio Miradossa, Fabio Carlino, Ciro Veneruso ed Elena Korovina, la bella cubista russa. Tra loro i legami, come appurarono gli investigatori, erano la cocaina e Pantani. Il pm Gengarelli concluse le indagini con 5 avvisi di garanzia, e i processi di primo grado finirono con due sentenze di condanne, un patteggiamento e due assoluzioni. Vennero condannati a 4 anni e sei mesi Fabio Carlino, ex manager di discoteche, “per spaccio e morte come conseguenza dello spaccio”; a 3 anni e 10 mesi il “corriere” Ciro Veneruso, accusato di aver portato la cocaina a Pantani, mentre Fabio Miradossa, ritenuto il fornitore della cocaina, patteggiò una pena di 4 anni e 10 mesi. Anni dopo la Corte di Cassazione assolse Carlino, perché il “fatto non sussiste”: per i giudici la morte di Pantani era stata causata da una assunzione volontaria della droga.

La seconda indagine e i sei misteri

Esattamente 10 anni dopo la morte, nel 2014, i genitori di Pantani riuscirono a far riaprire l’indagine puntando ad una solo accusa: omicidio volontario. A studiare il caso e a presentare un lungo esposto direttamente nelle mani del procuratore capo, Paolo Giovagnoli, fu 10 anni fa, l’avvocato Antonio De Rensis. C’erano, secondo il legale una serie di anomalie. La prima anomalia, o mistero, riguardava il video girato dai poliziotti della Scientifica che comincia alle 22,45 del 14 febbraio e termina all’1.01 del 15 febbraio. Il timer fissa dunque la durata in due ore e 56 minuti ma il «girato» è di soli 51 minuti e termina prima dalla fine dell’ispezione. Chi ha effettuato i «tagli»? Seconda anomalia secondo De Rensis era la mancanza di rilevazione di impronte digitale durante il lungo sopralluogo. Terza anomali, l’assunzione di cocaina oltre ogni umana sopportazione. Secondo la relazione del professor Francesco Maria Avato, consulente della famiglia Pantani, presentata da De Rensis, Marco assunse cocaina in quantità sei volte maggiore di quanto una persona possa sopportare. Nel nuovo esposto si parlò quindi di “costrizione a bere cocaina sciolta nell’acqua”. Altra anomalia, era stata la circostanza che accreditata che qualcuno avesse portato la droga a Pantani passando, senza farsi vedere, dal garage del residence. Nella querela denuncia del 2014 si fecero anche una serie di ipotesi su indizi trascurati una persona entrata di nascosto, una carta di un cornetto Algida in una stanza senza frigobar; tre giubbotti pesanti, tracce di sangue come se fosse stato spostato dopo il decesso; lesioni ed ecchimosi incompatibili con l’autolesionismo, sia pure in una persona completamente stravolta dalla cocaina. Tutte suggestioni che la seconda indagine smontò con una nuova perizia medico legale affidata al professor Franco Tagliaro dell’Università di Verona, esperto in tossicologia, che arrivò alla nota conclusione: Pantani morì tra le 11.30 e le 12.30 del 14 febbraio 2004, dopo un delirio da cocaina. La morte fu per un mix di droga e farmaci. Il pm Giovagnoli chiese l’archiviazione, il gip Vinicio Cantarini archiviò e la Cassazione confermò.

La terza indagine verso l’archiviazione

E’ probabilmente più di una coincidenza che tra un settimana, cioè dopo l’anniversario della morte di Pantani, la Procura chiederà l’archiviazione per il nuovo fascicolo contro ignoti per omicidio volontario. Un’accortezza di umana sensibilità quella di evitare che la data dell’anniversario e la fine di tutte le indagini coincidessero. Prossima settimana quindi si metterà fine alla ricerca delle tante verità sul caso Pantani. L’indagine del procuratore Elisabetta Melotti e del sostituto Luca Bertuzzi, aperta dopo l’esposto presentato nel 2021 dal nuovo avvocato di mamma Tonini, Fiorenzo Alessi, non ha trovato elementi nuovi nonostante siano state sentiti decine di testimoni. “Se e quando arriverà una richiesta di archiviazione, ne valuteremo le motivazioni”, è stato detto dall’avvocato Alessi. Le strade della terza inchiesta sono stati solo dei vicoli ciechi. La testimonianza Miradossa, che alla commissione antimafia disse “marco è stato ucciso, perché era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio”. Oppure quelle di prezzolate del consulente investigativo Ercole Renzi, quelle del collaboratore di giustizia pure sentito dalla Procura di Rimini sono state giudicate solo “dei sentito dire”. Esclusa l’ipotesi di un’assunzione sotto costrizione non resta che la resa all’evidenza e che probabilmente farà escludere alla famiglia di presentare ricorso contro l’eventuale archiviazione.

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