Rimini. Violentata dal marito, l’accusa chiede 9 anni

Lasciò una lettera chiedendo perdono alla moglie per le volte che l’aveva costretta a stare con lui senza che lei lo volesse. Dovevano essere parole d’addio prima di suicidarsi e invece, visto che l’uomo cambiò idea e non la fece finita, sono entrate nel processo come prove della sua colpevolezza.

L’imputato, un cinquantottenne accusato di violenza sessuale nei confronti della ex coniuge, è tornato a chiedere scusa anche nell’aula del giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Rimini, Benedetta Vitolo. La parte offesa, che si è costituita parte civile e chiede un risarcimento di duecentomila euro, non era presente. Lui, però, che ha l’obbligo di dimora nel suo comune di origine, in Puglia, ci ha tenuto a spiegare che non è più l’uomo aggressivo di un tempo. Difeso dall’avvocato Andrea Cappelli, sta seguendo un percorso di presa di coscienza con un’associazione specializzata nell’aiutare gli uomini violenti a contenere i loro impulsi. Si vergogna di quello che ha fatto. Non poteva che ammettere le contestazioni. Oltre alla lettera di addio, infatti, la moglie – all’epoca della denuncia ai carabinieri – consegnò anche una drammatica registrazione audio di una delle violenze sessuali subite tra le mura di casa. Il marito l’aveva obbligata a spogliarsi (un’altra volta le aveva strappato i vestiti di dosso dopo avere chiuso a chiave la porta) e aveva abusato di lei nonostante lo implorasse di desistere. «Oggi devi fare quello che voglio, ti rompo il …». Frasi e circostanze che pesano più del “pentimento” dell’imputato, almeno nell’interpretazione del pubblico ministero Davide Ercolani. Il magistrato, che coordinò l’inchiesta all’epoca dei fatti e che sostiene l’accusa in aula, ha infatti chiesto la pena di nove anni di reclusione (il processo si svolge con rito abbreviato). La donna, che aveva subito negli anni umiliazioni e vessazioni di ogni genere, ha raccontato di essere stata violentata almeno tre volte. Dopo l’ultima scappò di casa trovando rifugio dalla sorella, in un’altra città. Era l’epoca del primo lockdown: il divieto di spostamento che la tenne alla larga dell’uomo per due mesi le dettero la forza di dire basta, Quando lui, talmente ossessionato da controllare a distanza i suoi accessi sui social, comprese che lei non sarebbe più tornata, i suoi toni si fecero definitivi: «Solo la morte ci può separare». Non era una minaccia, ha spiegato che parlava solo per sé.

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