Rimini, un falso Dante per restaurare gli affreschi

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Con una discutibile attribuzione, cento anni fa, anche Rimini è stata “città dantesca”. Il terremoto del 17 maggio 1916 fra i numerosi danni che produsse, aprì anche profondi squarci nella chiesa di Sant’Agostino di Rimini, attraverso i quali il medico e antiquario Vittorio Belli (1870-1953), grattando con un coltellino uno spesso strato di intonaco gessoso, intravvedeva un ciclo di affreschi. «Per attrarre l’attenzione dei pezzi grossi di Roma – ricorda lo storico riminese Giovanni Rimondini – lui stesso aveva dipinto sul cappuccio di un personaggio della “Resurrezione di Drusiana”, una coroncina di alloro, stranamente disposta a rovescio e l’aveva spacciata per un nuovo ritratto di Dante». Ma fu il conte Malaguzzi Valeri, direttore della Real Pinacoteca di Bologna, in un articolo pubblicato nel “Marzocco” del 5 maggio 1918 a dare rilievo nazionale all’importante scoperta, richiamando soprattutto l’attenzione sopra un supposto ritratto di Dante che appariva raffigurato in una scena degli affreschi. Un’opinione che, già all’epoca, suscitò forti riserve e discussioni fra gli esperti e critici d’arte. Ma, come succede spesso in Italia, mancavano i fondi per restaurare il grande ciclo di affreschi della Scuola Riminese del Trecento nell’abside di Sant’Agostino e il richiamo di Dante era molto forte, anche in vista delle celebrazioni per il sesto centenario della morte del sommo poeta. Dopo numerose pressioni, Giuseppe Gerola, primo Soprintendente di Ravenna mandò Giovanni Nave, considerato fra i migliori restauratori italiani. Ma quando il Gerola se ne andò da Ravenna, il nuovo Soprintendente, per risparmiare, licenziò il Nave e affidò ai muratori il compito di recuperare gli affreschi. Vittorio Belli non si perse d’animo, mandò un telegramma lapidario al ministro della Pubblica Istruzione: «La ritengo responsabile della distruzione degli affreschi di sant’Agostino». Il ministro della Pubblica Istruzione dell’ultimo governo Giolitti era Benedetto Croce che rimandò Nave a Rimini dove completò il lavoro, strappando anche l’affresco del Giudizio Universale ora esposto nel salone dell’Arengo, all’interno del Part, Palazzi dell’Arte.

Il clone dantesco

E così, grazie anche alla “‘compiacenza” dello storico dell’arte Francesco Filippini e del restauratore Giovanni Nave, Rimini fu inserita nel circuito delle città dantesche, ottenendo buona parte dei fondi necessari per i restauri dell’abside, che si conclusero, appena in tempo, nel 1921. Da allora nessuno storico dell’arte si è più avventurato nel riconoscere Dante Alighieri in quel pingue signore dalla lunga veste color olivo e dal caratteristico naso. Cautissimo il professor Pier Giorgio Pasini. Nel suo “La pittura riminese del Trecento” (Pizzi editore, 1990) scrive: «La decorazione trecentesca di questa chiesa interessò subito la pubblicistica, anche popolare, soprattutto per un presunto ritratto di Dante, riconosciuto fra uno dei personaggi raffigurati nella parete di destra dell’abside. Anzi a questo presunto ritratto si deve in buona parte il rapido recupero dell’opera». Ogni riferimento a Dante scompare negli scritti successivi di Pasini. Forti dubbi sono espressi anche nel volume “Il Trecento riminese in Sant’Agostino a Rimini” di Angelo Turchini, Claudio Lugato e Alessandro Marchi (edizioni “Il Ponte Vecchio, 1995): «Il poeta fiorentino veniva riconosciuto nel robusto personaggio dalla veste color verde oliva con risvolti vermigli, coperto di un elegante copricapo cinto di alloro… Oggi questa identificazione non è più accettata, tuttavia questo personaggio è sicuramente importante dato che l’artista gli ha riservato un ruolo di prim’ordine». Non c’è nessun riferimento a una ipotetica immagine di Dante Alighieri nemmeno nell’ultimo volume “Il Trecento riscoperto. Gli affreschi della chiesa di Sant’Agostino a Rimini” di Antonio Paolucci, Daniele Benati e Alessandro Giovanardi con le splendide fotografie di Gilberto Urbinati (Silvana Editoriale, 2019). Insomma, niente Dante ! Anche cento anni fa si fabbricavano “ fake news”, ovviamente a fin di bene.

Non ci resta che Francesca

A noi riminesi, per questo settimo centenario dantesco, non resta dunque che l’eterna “Francesca da Rimini”, immortalata nel V Canto dell’Inferno, la cui fama e il cui mito sono da sempre la “magnifica ossessione” del riminese Ferruccio Farina, che a lei ha dedicato, negli anni, dieci giornate internazionali fra Rimini e Los Angeles. Quest’anno Farina porterà mostre, spettacoli e laboratori con inizio l’8 marzo, quando si collegheranno in live streaming per un tributo a Dante e Francesca, 21 università di cinque continenti. E le parole di Dante risuoneranno, nelle diverse lingue, nella città che vuole diventare Capitale della Cultura 2024.

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