Rimini. Truffa del green pass, chiesto il dissequestro dei tamponi

Archivio

Presunta truffa sul “Green Pass”, gli avvocati presentano un’istanza di dissequestro per tamponi e materiali finiti nelle mani degli inquirenti, assieme all’incasso del giorno, circa mille euro. Nel frattempo, per una scelta «prudenziale» dettata dagli stessi legali (Marco Bosco e Thomas Coppola dello “studio Coppola and partners”) il centro tamponi rapidi allestito nell’area commerciale delle “Befane” resta chiuso a tempo indeterminato, in attesa che la vicenda si chiarisca. L’intenzione è riprendere al più presto: la società milanese “Helpcodelife” che aveva messo in piedi la struttura sostiene di possedere tutti i requisiti per eseguire i test e fornire un servizio a prezzi calmierati per quanti, in alternativa al vaccino, hanno bisogno di sottoporsi periodicamente al tampone per ottenere la certificazione verde.

Giovedì scorso i carabinieri dei Nas hanno perquisito il gazebo e sequestrato documenti, materiale per l’esecuzione dei campioni, rifiuti sanitari, dati informatici.

L’ipotesi è che gli utenti, che fino a settecento al giorno si mettevano in fila in attesa del test, fossero tratti in inganno riguardo al rilascio del “Green Pass”. Per avviare le procedure c’era infatti bisogno di un ulteriore passaggio, affidato a soggetti autorizzati e convenzionati con l’azienda sanitaria locale.

In un caso, un misterioso e presunto intermediario della società, avrebbe offerto dei soldi a un medico riminese in cambio del sollecito inserimento nel portale ministeriale dell’esito dei test effettuati nel gazebo.

Al legale rappresentante della società, un milanese di cinquantasette anni, l’episodio costa l’ipotesi di istigazione alla corruzione. L’altra accusa è invece la truffa aggravata “dall’aver approfittato di circostanze di luogo, di tempo o di persona tali da ostacolare la privata difesa”.

Gli avvocati, nell’istanza di dissequestro inviata alla pm Giulia Bradanini (titolare dell’inchiesta), negano l’esistenza dei presupposti stessi alla base del provvedimento. L’ipotizzata corruzione, in ogni caso, non si è realizzata. Le somme sequestrate sono il corrispettivo dei test e quanto alla truffa mancherebbe la querela. L’aggravante della minorata difesa, infine, nell’interpretazione difensiva non sarebbe sostenibile. I legali ricordano, in proposito, come tra gli utenti convenzionati ci fossero anche poliziotti e carabinieri.

Se e quando la società deciderà di riaprire il centro tamponi rapidi dovrà dare una sistemata ai locali: per i Nas, infatti, l’ambiente si presentava in «precarie condizioni igieniche». Tra il materiale sotto sequestro anche un timbro con la scritta a inchiostro rosso “Tampone rapido certificato-Validità 48 ore”.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui