Rimini, truffa bonus edilizia: così funzionava la "macchina mangia soldi"

L’hotel Saxon nel cuore di Marina centro a Rimini e il ristorante La Playa di Cesenatico. Sono i due principali uffici dove l’organizzazione criminale sgominata dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza e dalla Procura della Repubblica di Rimini con l’inchiesta “Free credit” ha pianificato le strategie che hanno permesso di truffare all’Erario 440 milioni di euro grazie ai rimborsi ottenuti con falsi crediti d’imposta per lavori inesistenti legati ai bonus affitti, sisma e facciate. In quelle sedi il commercialista riminese Stefano Francioni, titolare dell’omonimo studio di consulenza fiscale, i coniugi Imane Mounssif, 35 anni e Girolamo Pasquale Bonfrate 53, titolari de La Playa menti dell’organizzazione - secondo l’accusa - assieme a Giuseppe Felice Guttadoro, al commercialista rodigino Matteo Banin, ad altri suoi due colleghi pugliesi ancora all’estero, al manager Sabatino Schiavino, hanno per esempio pianificato l’operazione che con un ricarico del 260.000 per cento, gli ha permesso di inserire nel cassetto fiscale della società di Schiavino la richiesta di oltre 12 milioni di euro di crediti per l’affitto biennale della sede di un’associazione culturale legata al mondo della marineria. Anche grazie a queste “plusvalenze”, messe assieme con la preziosa collaborazione di imprenditori-prestanome come il cervese Mario Pagliarani, 43 anni, le menti dell’organizzazione sono riusciti a far moltiplicare dai circa 50 milioni di euro in cassa lo scorso luglio ai 440 di chiusura inchiesta. Crediti d’imposta falsi che complice l’inesistenza dei controlli sono stati facilmente ceduti a Poste italiane, istituti finanziari, società commerciali. Operazioni che hanno generato profitti ridistribuiti tra i beneficiari utilizzando sia canali bancari o con la consegna “brevi manu” di ingenti quote di contanti: gli 800.000 euro sequestrati dai “cash dog”. In questa macchina da soldi Stefano Francioni si è occupato di piazzare i crediti d’imposta solo sulla piazza a lui più congeniale, ovvero Rimini. I frutti del suo lavoro al momento sono stati quantificati in poco meno di 3.800.000. Di questa cifra il professionista ha reinvestito «con indebita compensazione» e conseguente contestazione di un altro reato, scrive il Gip Manuel Bianchi nell’ordinanza, per pagare 379.000 euro (centesimo più centesimo meno) e saldare così i debiti pregressi contratti con il Fisco.

Incognite

Il Gip scrive anche che il commercialista ha anche qualche “dubbio” e per questo si confronta con un professionista di fiducia. «I timori manifestati da Francioni nel colloquio sulla pericolosità sulla propria persona, intesa come responsabilità penale delle operazioni poste in essere, è accentuata dalla circostanza che essendo lui un commercialista non può affermare di essere all’oscuro dell’origine illecita dei crediti che lui stesso ammette d’aver acquistato al 40 per cento del valore nominale» e che poi ha rivenduto «in brevissimo tempo alle Poste monetizzando il 98 per cento del loro valore». Queste operazioni gli hanno permesso di monetizzare attraverso la cessione a Poste italiane 2 milioni di euro. ma hanno anche attirato l’attenzione delle autorità di vigilanza «la Banca d’Italia – sottolinea il giudice – le ha infatti segnalate alla Guardia di finanza».

Perché la galera

Per il Gip il coinvolgimento di Francioni è «evidente. In particolare i servigi da lui espletati nella commercializzazione dei guadagni illeciti...ne denotano un ruolo di primissimo piano, perché specifico ed essenziale. Relegare Francioni a mero partecipe dimostrerebbe soltanto l’incomprensione della struttura di fondo della consorteria criminale che necessita di persone specificatamente deputate, meglio se professionisti competenti e all’apparenza illibati mediante il loro reinserimento nel circuito dell’economia sana».

Free credit

L’inchiesta del Nef delle Fiamme gialle guidato dal maggiore Roberto Russo e del pubblico ministero Paolo Gengarelli ha portato all’emissione da parte del Gip Manuel Bianchi di 35 misure cautelari personali di cui 8 in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 23 misure interdittive. L’associazione per delinquere è stata contestata a 56 persone. Ventidue invece prestanome fondamentali per accedere ai cassetti fiscali delle 116 aziende usate per la truffa.

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