Rimini tra Ottocento e Novecento: amori sulla sabbia

Cultura

Dalla prima notte d’amore tra Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio, nell’estate del 1897 a Villa Adriatica (si veda il Corriere Romagna del 30 luglio 2019), alla vicenda che ci accingiamo ad illustrare il balzo è abissale. Se poi consideriamo la celebrità dei personaggi e le note di cronaca che li hanno posti sotto i riflettori della ribalta giornalistica, possiamo tranquillamente dire che passiamo dalle stelle alle stalle. Pur nella loro discordanza, tuttavia, entrambi i brani non si discostano dal tracciato che stiamo schizzando su questa rubrica, che dai “Fatti e personaggi della cronaca riminese” – di qualsiasi intrigo o levatura – trae spunto per aprire piccoli spaccati di storia “tra Ottocento e Novecento”.

Prima di scendere nei particolari dell’episodio, un “fatto” di «cronaca piccante» che coinvolge la stampa e mette in agitazione per qualche settimana tutto il vociante perbenismo della città, è bene illustrare – seppure sommariamente – il contesto storico nel quale si svolge.

Siamo nell’agosto del 1910. Rimini è, agli occhi di tutti, «la spiaggia alla moda»: ha una struttura dell’ospitalità all’avanguardia; alberghi, ville, viali, caffè-concerto che nulla hanno da invidiare alle più qualificate stazioni balneari d’Europa. Per queste caratteristiche è considerata l’“Ostenda d’Italia”. È frequentata da “gente bene”, elegante, godereccia, che si qualifica per censo, per disponibilità finanziaria e anche per atteggiamenti molto spesso spregiudicati.
Un’ondata di rinnovamento
che stravolge la mentalità
Da piccolo borgo di provincia quale era nell’Ottocento, ora comincia ad assaporare con orgoglio i privilegi e gli effetti del grande centro di villeggiatura. Questa ondata di rinnovamento, tuttavia, si abbatte sulla città come un terremoto stravolgendo consuetudini e mentalità. E a risentire del cambiamento è soprattutto l’uomo della strada che, frastornato dal fascino della «spiaggia più bella dell’Adriatico», è indotto con molta ingenuità a comportamenti che vanno a cozzare con le tradizionali norme della morale comune.
La spiaggia, in questo periodo, non è più solo il luogo della passeggiata discreta sulla battigia, della conversazione raffinata sotto l’ombrellone, del gioco chiassoso dei bambini; ora comincia ad essere anche un invito alla passeggiata romantica serale, alla conversazione intima degli innamorati, al “gioco” silenzioso degli adulti. Naturalmente con tutti i rischi che ne derivano.
Proprio così! E il primo che fa le spese di questa nuova libertà del Ventesimo secolo è Primo Lugli, un calzolaio del borgo San Giuliano, sorpreso dagli agenti di una solerte pattuglia del buoncostume sulla spiaggia insieme con una domestica «disoccupata» in flagrante atteggiamento di «equivoco abbandono».
L’episodio, di per se stesso insignificante, sarebbe passato inosservato alla stampa e all’indignazione dei benpensanti – e noi, non avremmo avuto l’opportunità di riprenderlo – se il Lugli, nell’attesta del processo, dopo aver trascorso in gattabuia qualche giorno, non avesse scritto al direttore del settimanale La Riscossa una appassionata quanto patetica autodifesa.
«Giovedì notte – scrive il ciabattino rivolgendosi al direttore del giornale – mentre passeggiavo tranquillamente lungo la spiaggia, di fronte alla Via Trai, come liberamente fanno tutti i cittadini che non sono ammoniti e che perciò non hanno alcun conto da rendere alla P.S., e parlavo con una povera ragazza la quale mi raccontava delle proprie vicende che non ridico per non esporla alla curiosità del pubblico, una pattuglia di guardia ci si scaraventò addosso e ci condusse in caserma da dove, dopo aver redatto un verbale di offese al pudore che non so da dove tragga la propria giustificazione ci portarono in Rocca trattenendoci un paio di giorni. Ora sto in attesa del processo. Saprebbe dirmi dove possa trovare i testimoni per dimostrare che la conversazione con questa donna era puramente innocente? Ti pare che se avessi avuto delle intenzioni diverse fossi rimasto ad aspettare le guardie che si avvicinassero che le avevo vedute ad una considerevole distanza?».
La lettera che invia al giornale
lo rende un personaggio
È proprio questa missiva, nella sua sgrammaticata confutazione delle accuse, pubblicata da La Riscossa il 13 agosto 1910, che oltre a regalare al calzolaio qualche frammento di celebrità ne fa un “autentico” personaggio. Per Primo Lugli, infatti, pur essendo «stravaccato sulla sabbia» con la servetta in posizione definita dalla pattuglia del buon costume «sospetta», si trattava solo di una chiacchierata innocente. Tanto innocente che per rendere credibile la tesi si permette persino di terminare la lettera con una battuta che rivela la morale pubblica e le tendenze sessuali dell’epoca. «E se invece d’esser con una donna – si chiede – fossi stato con un altro maschio a godermi il fresco, che cosa avrebbero supposto le guardie?».
Oggi, che “certi” amori al chiaro di luna sono all’ordine del giorno, una simile asserzione non produrrebbe alcun effetto giustificativo, sarebbe inopportuna e persino controproducente.

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