Rimini. Pazienti furiosi in pronto soccorso. Rabbia e minacce ai medici: “So dove abiti”

«So dove abiti». È la frase choc che sempre più spesso trovano nei messaggi sanitari perseguitati dai pazienti che carpiscono i dati esibiti dagli operatori sul camice per poi intercettarli sui social. A schierarsi dalla parte di un settore sempre più vessato, dopo la durissima prova della pandemia, è il dirigente generale dell’Ausl Romagna, Tiziano Carradori che di recente ha ventilato anche il supporto legale dell’azienda.

Nervi a pezzi

Ma ora i medici chiedono di dare uno stop. Giulia Grossi, segretaria dei medici di base della Fimmg Rimini, ritiene «fondamentale» la presa di posizione di Carradori nei confronti dei dipendenti incluso il sostegno legale. «Il nostro sindacato – afferma – sia a livello nazionale che locale si è speso molto nella denuncia degli atti di violenza nei confronti dei suoi iscritti, proprio come gli ordini professionali, tramite campagne di sensibilizzazione e tutela nei confronti di tutti i medici indipendenti, liberi professionisti e convenzionati». Si tratta di una «escalation di violenze» che, a suo avviso, affonda le radici nel tema del conflitto che si instaura tra paziente e operatore. La causa resta la perdita del riconoscimento dei ruoli a cui si aggiungono incomprensioni, dice Grossi, derivanti «dalla mancanza di tempo per spiegarsi o dalla penuria di personale in luoghi dove il posto in fila cambia di continuo per dare precedenza a chi rischia la vita». Da qui la necessità di figure intermedie che fungano da filtro con gli utenti, ma soprattutto della ricostruzione di un rapporto di fiducia incrinato dal grande turnover dei pazienti «che pretendono una diagnosi in un clic, poco importa se corretta». Grossi lo definisce un momento storico di passaggio: «Agli adulti manca la consapevolezza delle conseguenze di un attacco sui social ma a tutti, anche ai giovani, serve una rieducazione sociale».

Le richieste da dieci anni

«Meglio tardi che mai», commenta il responsabile del sindacato “Nursing up” della Romagna, Gianluca Gridelli, ricordando che da quasi 10 anni il suo sindacato chiede più attenzione «per una problematica sempre più angosciante che al 90% colpisce chi lavora nel pronto soccorso dove la presenza di un posto di polizia sarebbe il deterrente ideale, specie nelle città turistiche». Nonostante gli incentivi, i professionisti non vogliono più avere a che fare con orchi 2.0. che si intrufolano nei profili social ficcanasando in abitudini, interessi ma soprattutto legami familiari e luoghi frequentati. Difficile tracciarne un profilo, spiega Gridelli, perché oltre alle persone in stato di alterazione, «danno in escandescenze anche persone insospettabili, dall’anziano alla donna in apparenza garbata». A innescare la miccia, prosegue, «è invece l’arrivo del weekend quando il medico di base chiude i battenti». L’auspicio è che la creazione dei Centri di assistenza urgenza, per snellire le file al Pronto soccorso, scongiuri situazioni al limite come il caso di Ravenna dove un’infermiera, racconta ancora Gridelli, «è stata inseguita da un paziente che brandiva un estintore strappato al muro». Le aggressioni fisiche sono all’ordine del giorno, riconosce, ma talvolta fanno più male quelle verbali, dalle prese in giro fino alle le minacce e gli insulti sui social. Il problema resta la vergogna di raccontarsi. «Questi traumi, che al 70-80% dei casi non sono denunciati, scatenano strascichi – mette in guardia “Nursing up” –: insonnia e sedute dallo psicologo, in primis, seguiti da problemi alla tiroide sino alla perdita dell’idoneità per certe attività o turni».

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