Rimini, "si specula sul pane e non è mica colpa della guerra"

I super rincari? Non sono tutta farina del sacco ucraino e della guerra in corso nell’Est Europa. Anzi, i principali sono precedenti all’invasione russa e molti sono più speculativi che reali. A dirlo è il massimo esperto in materia sul territorio, quel Davide Cupioli che oltre a essere presidente provinciale di Confartigianato è anche imprenditore nel mondo della panificazione

I “furbetti” del grano

«Una premessa è d’obbligo: il mais e la semola, i due indicatori di riferimento della Borsa del Grano, hanno iniziato a salire di quotazione già da ottobre e fra ottobre e dicembre i listini hanno avuto due aumenti di 10-12 centesimi l’uno per ogni tipo di farina e la spiegazione ufficiale fu che la Cina stava facendo scorte acquistando quantitativi ingenti sul mercato. Dal 2008, anno della grande crisi economica, la speculazione si è infatti spostata dai prodotti finanziari alle materie prime: il grano appunto, che dal Dopoguerra non si era mai spostato di prezzo, ma anche melassa, zucchero…» esordisce Cupioli, entrando ancor più nel merito: «A gennaio e febbraio la crescita si era fermata mentre c’è stata l’esplosione dei costi di gas ed elettricità e adesso con la guerra in Ucraina che è un grosso produttore di grano si cavalca anche un po’ la speculazione: a quello che ne sappiamo le scorte infatti ci sono ma ogni momento è buono per far salire i prezzi. Però quando si fa marketing tutti dicono che i prodotti sono realizzati con grano italiano…».

Da esperto del settore, il presidente Confartigianato amplia quindi la prospettiva: «Oggi una farina mediamente è il frutto della miscela di quattro grani e per la gran parte si utilizzano i nostri: essendo piuttosto deboli, vanno benissimo per piadina e pasticceria, ma per panificare serve un taglio con un 20% di grano estero ed è quello in realtà che importiamo. E quasi esclusivamente dall’industria e dai pastai, perché i laboratori artigianali si servono sui territori. L’aumento della materia prima con un po’ di accorgimenti e di piglio industriale quindi si assorbe bene, oggi il problema è la combinazione di rincari: il boom del packaging figlio dei blocchi di produzione durante il lockdown e il caro bollette».

Un cocktail esplosivo che costringe i fornai a cambiare la tradizionale organizzazione del lavoro.

«Più della farina (anche se in quattro mesi quella per fare il pane toscano è passata da 0,44 euro a 0,68 euro al chilogrammo) sono le spese a portarci a lavorare tutto su prenotazione e con cotture in successione così da non lasciare il forno mai vuoto. Finché, una volta finito l’ultimo ordine, lo si spegne fino al giorno dopo. Non capita più di accenderlo per una persona di passaggio che fa un ordine dell’ultimo minuto».

Cupioli non registra comunque neanche assalti al forno di manzoniana memoria.

«La gente non fa scorte per paura della guerra e dei rincari, anche perché pane e prodotti si acquistano freschi. Le farà magari ai supermercati e nei mulini, noi abbiamo tante persone che fanno la spesa e non stanno venendo meno: la preoccupazione di tutti restano gas ed energia, qui si parla di 10 centesimi su un panino».


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