Rimini. Si finge ragazzina per adescare una undicenne

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Si è finto una ragazzina per guadagnare la fiducia di una bambina riminese di undici anni e indurla a scambiare delle foto intime su Instagram. L’uomo, S.R., trentanove anni, di Taranto, difeso dall’avvocato Armando Pasanisi è stato condannato ieri alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione (con rito abbreviato che prevede lo sconto di un terzo). L’accusa era cessione di materiale pedopornografico. I fatti risalgono a due anni fa e per l’accusa l’intenzione dell’uomo era adescare la bambina. Fingendo di essere una sua coetanea, dopo un primo contatto via social, le aveva inviato la foto di una bambina nuda. «Questa sono io: mandami anche tu una foto così». La ragazzina riminese aveva però avvertito la madre che ha denunciato il fatto alla polizia e si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Luca Greco.

In gergo lo scambio di foto intime o a sfondo sessuale tramite internet o chat telefonica si chiama sexting, neologismo frutto della fusione dei termini «sex» e «texting» (in italiano «sesso» e «messaggiare»). Nonostante il moltiplicarsi dei casi di cronaca che anche in Romagna ha portato all’attenzione i pericoli dei social media, tra gli adolescenti non c’è ancora una percezione chiara delle conseguenze - appunto - dello scattare e condividere foto intime. Un problema per chi si ritrova ad essere additato, ma anche per chi condivide foto o filmati che ritraggono adolescenti o minori. Le conseguenze possono essere pesanti sia sul piano penale (l’accusa è pedopornografia su internet) sia riguardo all’eventuale risarcimento economico. La polizia postale è impegnata sul territorio per sensibilizzare sui rischi. Gli esperti agenti informatici anche sabato scorso a Rimini hanno parlato agli studenti, ai genitori e agli insegnanti dei pericoli presenti sui social network e sul cyberbullismo.

Un tour partito da Bologna ha fatto tappa in Romagna con l’obiettivo di prevenire episodi di violenza, vessazione, diffamazione, molestie online, attraverso un’opera di responsabilizzazione in merito all’uso della “parola”.

Gli specialisti della Polizia di Stato, a bordo di un truck allestito con un’aula didattica e piazzato davanti al centro congressi hanno cercato con un linguaggio diretto ed efficace, di spiegare i fenomeni connessi alla violenza in Rete segnalandone non solo le implicazioni di carattere giuridico, ma anche gli effetti che possono avere sulla vita dei giovani.

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