Rimini, sbagliò porta del bagno, cadde e morì in gelateria: chiesti 400mila euro di risarcimento

Quattrocentomila euro. È la somma a titolo di risarcimento chiesto dall’avvocato Cristiano Basile per conto del compagno della cittadina romena di 62 anni, morta cadendo dalle scale del magazzino di una gelateria di Miramare la notte del 15 giugno del 2018. Per quella tragedia il prossimo 30 gennaio la giudice Adriana Cosenza potrebbe emettere la sentenza contro le due socie, una lombarda oggi di 57 anni e una 41enne argentina residenti a Rimini che allora gestivano l’attività di viale Regina Elena lasciata dopo la tragedia, rinviate a giudizio con con l’accusa di omicidio colposo in concorso. Entrambe sono difese dall’avvocato Giovanna Ollà.

Il dramma

La donna, 62 anni, aveva chiesto di andare in bagno sul retro, ma dopo aver percorso un breve corridoio al buio entrò nella porta sbagliata che dava sullo scantinato. Precipitò lungo i gradini battendo la testa senza avere scampo. Le indagini svolte anche dalla Medicina del lavoro hanno tra l’altro portato alla contestazione alla società di diverse violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. La colpa delle due imputate, secondo la Procura, sarebbe stata quella d’aver lasciato accessibile il locale accanto al bagno, nonostante le insidie che presentava: niente pianerottolo, né corrimano o parapetto. Tra l’altro la presenza delle scale, ripide e buie a ridosso dell’ingresso, non era segnalata.

La difesa respinge gli addebiti

L’incidente, per l’avvocato Ollà, invece, sarebbe stato una tragica fatalità. Le due titolari, una faceva il caffè e l’altra i gelati, non notarono la donna. La vittima, Maria Anghelina, di origine romena che aveva con se due borse della spesa, avrebbe fatto loro un cenno tra la folla per poi dirigersi verso lo stretto corridoio che portava alla toilette. Invece di spingere la porta “giusta” quella sera aprì invece con la chiave rimasta inserita nella toppa quella a fianco con la scritta “magazzino”: un errore che le è costato la vita. A trovare il corpo, pochi minuti dopo, fu proprio una delle socie. «Sono andata in magazzino per prendere una bottiglia di sambuca: ho acceso la luce e in fondo alle scale ho visto quella povera donna in una pozza di sangue», disse dopo l’incidente ai carabinieri della stazione di Miramare. Quella sera aspettava la compagna davanti alla gelateria. Tra i primi a cercare di portarle inutilmente soccorso il compagno che la stava attendendo fuori il locale. Richiamato dalle urla all’interno, entrò, allarmato anche dal prolungarsi dell’assenza. Disperato, la chiamò più volte per nome ad alta voce, inutilmente.

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