Rimini, ragazzo autistico e sua madre perseguitati dai vicini

Quando gli stalker sono i vicini, tornare a casa può diventare un incubo. Nel caso di una donna e di suo figlio, un ragazzino affetto da autismo, gli insulti, i dispetti, le minacce e le angherie sarebbero addirittura durati tre anni. Un crescendo di atti persecutori che hanno portato la donna e il figlio a cambiare drasticamente abitudini di vita e ad avere paura per l’incolumità propria e del ragazzo, e ad odiare il momento di tornare a casa. Dopo varie incertezze e perplessità, la signora ha trovato il coraggio di rivolgersi ai carabinieri per denunciare chi da anni le rendeva la vita un infermo.

L’indagine

La Procura della Repubblica, tramite il sostituto Luca Bertuzzi, ha quindi aperto un fascicolo e i vicini di casa sono stati iscritti nel registro degli indagati per reati persecutori e minacce. È di questi giorni, la conclusione dell’inchiesta e la richiesta da parte del sostituto procuratore Bertuzzi, di rinvio a giudizio. L’udienza davanti al gip del Tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini, è stata quindi fissata per il prossimo 18 ottobre, quando in aula compariranno, difesi dall’avvocato Andrea Mandolesi, i vicini che per la precisione sono una donna, una pensionata di 85 anni, e il figlio di 50. Anche le parti lese sono una mamma e un figlio, quest’ultimo inoltre affetto da un disturbo come l’autismo, diventati loro malgrado e senza un apparente motivo le vittime di una lunga serie di dispetti.

Anni di dispetti

Teatro dei fatti un condominio come tanti nel Riminese, dove un giorno i dispetti, iniziati con il danneggiamento di alcuni vasi di fiori in cortile, sono diventati atti molto più gravi come il taglio delle ruote dell’automobile, la spazzatura lanciata davanti alla porta e gli insulti per le scale condominiali. Inoltre, quasi quotidianamente i vicini aspettavano che la donna rientrasse a casa per insultarla con volgari epiteti a sfondo sessuale. Una situazione di disagio acuita per le vittime di stalking nel periodo del lockdown vista la costrizione a rimanere nel proprio domicilio. Mamma e figlio erano arrivati al punto da sussurrare mentre erano in casa per non farsi sentire dai vicini. Il più delle volte uscivano in punta di piedi quasi di nascosto per non correre il rischio di incrociarli. Gli insulti e le angherie erano, quindi, via via più devastanti, sempre più insistenti fino a costringere la mamma e il ragazzino a non avere ospiti, neanche gli amici di scuola per la vergogna di essere presi di mira alla presenza di conoscenti. Tra gli episodi peggiori, probabilmente quello contro il ragazzino. Un pomeriggio d’estate di due anni fa, i vicini di casa vedendo un pulmino per il trasporto dei ragazzi fermo davanti al condominio avevano iniziato ad insultare l’autista provocando l’agitazione dell’adolescente che aveva finito per avere una crisi di nervi. E proprio il ragazzino, così fragile e chiuso nel suo isolamento, spesso diventava il bersaglio degli insulti più turpi. «Siete una vergogna, vai a …te e quella poco di buono che ti ha partorito», una delle frasi riportate dalla mamma ai carabinieri che il ragazzo era stato costretto ad ascoltare e che formeranno la base del fascicolo dell’accusa.

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