Rimini, "quei Tg della Rai dalla terrazza del Grand Hotel"

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La redazione Rai sulla terrazza del Grand Hotel di Rimini. Un fortunato esperimento giornalistico del 1990che torna a galla grazie ai ricdordi di Fabrizio Binacchi, caporedattore centrale Rai, già responsabile della redazione Emilia-Romagna Lo confesso: ho scoperto Rimini con molto ritardo. A quasi 30 anni. C’è chi ci viene a pochi mesi, portato dai genitori in vacanza, c’è chi ci viene da bambino e ragazzo perché “vuoi mettere” un’estate a Rimini è un must nella vita e per più anni, c’è chi viene dalla Germania e dalla Cina, dalla Russia e dalla Svizzera perché Rimini caspita è Rimini. Io ho aspettato un congresso del sindacato dei giornalisti per scoprire che Rimini, caspita!, è proprio Rimini. Anno 1990, delegato congressuale, venivo da Roma con altri cento delegati e finii in un albergo sul lungomare e vidi che Rimini era davvero Rimini. L’avevo vista fino ad allora solo in cartolina, “Saluti da Rimini”, o in televisione, nei consueti tradizionali e un po’ ripetitivi servizi dell’estate sulle vacanze e sulle novità della spiaggia. Adesso ero a Rimini, volevo respirare l’aria e l’atmosfera di Rimini. Mamma e papà mi avevano sempre portato da piccolo nei lidi ferraresi perché secondo loro erano più comodi al nostro paese di partenza, un borgo di mille anime nella Bassa mantovana. Papà era sempre preoccupato per il traffico dell’autostrada che porta da Bologna alla Riviera. Così aveva scoperto che c’era una strada alternativa per andare al mare dal Mantovano: le provinciali e le statali che via San Giacomo, Poggio Rusco e Bondeno portavano a Ferrara e poi da lì la superstrada per Porto Garibaldi. Poi la bella e creativa ricerca di un lido comodo e non affollato per mettere la tenda in un camping. E così ho fatto molte estati nel fantastico ovattato protetto ma sempre pieno di famiglie tedesche Lido degli Scacchi, Camping Florenz. Peraltro, lì conobbi una bellissima ragazza tedesca con cui non parlai mai perché ero timido e avevo vergogna. Ma feci sogni straordinari. Doveva avere la mia età ed era una luce per i miei occhi di ragazzino: bionda, capelli lunghi d’oro, occhi azzurri, una pelle ambrata, una camminata da mozzafiato. Doveva essere di Monaco, o dei dintorni. E mi sono sempre chiesto come mai da Monaco di Baviera capitassero al Lido degli Scacchi. La sera davanti alla tenda americana con aggiunta di una canadese per gli eventuali parenti ospiti parlavamo a lungo guardando il cielo e scoprendo le varie stelle. Quella è Sirio, quella è boh. Poi arrivava il trattorino con la botte per il disinfestante delle zanzare. Quante zanzare c’erano in giro! Eppure, ti lasciavano guardare le stelle. Era bello il camping, ben ordinato, per andare in spiaggia si saliva su una duna e si scendeva sulla sabbia bollente della distesa verso il mare a cui non arrivavi quasi mai. Sei otto file di ombrelloni e sembrava un’oasi, tanto era grande la spiaggia. Lo spiaggione lo chiamavano. “Cocco, cocco-cocco” per tutti si sentiva nell’aria e poi vedevi un signore molto nero abbronzato con una cesta di vimini che vendeva fette di cocco su cui buttava ogni tanto dell’acqua. In spiaggia faceva caldissimo, agosto, Ferragosto. Nulla per l’ombra se non gli ombrelloni gialli canarino e altri più verdi a righe. Per me era normale scottarmi a 15 anni diventando come una braciola sul braciere e poi la sera sentire le mani di mamma che mi ricopriva di crema cosiddetta lenitiva. Il giorno dopo ero quasi un arrosto. Che volete mai per noi negli anni Settanta andava così: non ci si attrezzava con la crema protettiva e ripiegavamo il giorno dopo con la crema lenitiva. Ho cambiato pelle più volte nello stesso mese. Vicino alla nostra spiaggia c’era un solo albergo, grandissimo. Sembrava uno stabilimento. Lungo e alto, pieno di balconi. Io non ero mai stato in hotel e fantasticavo su come potesse essere mai fatto un hotel. Fissavo finestre e balconi dalla spiaggia ma non vedevo mai nessuno. Per forza: o erano a letto per il pisolino o erano in spiaggia come noi. Ma com’era la spiaggia di un hotel rispetto alla spiaggia di un camping? E sognavo Rimini e la spiaggia che avevo visto di sfuggita in tv, da piccolo, forse pure in bianco e nero. L’unica alternativa al Lido degli Scacchi fu una stagione al Lido delle Nazioni, ma troppo grande per papà, e al Lido di Spina perché gli ricordava gli anni del militare a Casal Borsetti. Non approfondii. Papà e mamma erano contenti così e io figlio unico ero contento con loro e per loro. «Il mare è mare dappertutto» sentenziava saggio papà. Un’estate dissi: «Scusa papà ma perché non andiamo un po’ più giù dai lidi ferraresi, magari verso Rimini». Alla parola Rimini papà si rabbuiava: ma stai scherzando, a Rimini c’è troppa gente e poi bisognerebbe prendere l’autostrada, code, caldo, traffico. Quello che vedevamo in televisione. Accipicchia, la televisione! Mi accontentò, un po’. Consultò la cartina geografica dell’Agip che doveva essere sempre ben piegata per evitare che si lacerasse proprio sul nome di una strada o di un paese e disse: va bene, dai, quest’anno andiamo al Lido di Savio. Il Lido di Savio? Cos’è? Dov’è? Non c’erano i motori di ricerca, non c’era Google maps, non c’erano i cellulari e quindi aspettai di avere a disposizione una cartina geografica che davano ai distributori per scoprire dove fosse mai questo Lido di Savio. Era più giù degli Scacchi, ma ben prima di Rimini. Appena prima di Milano Marittima e Cervia. Era la frontiera anti-folla del papà. Arrivai a Rimini a metà di aprile del 1990 portato da un congresso e non dalla famiglia. Telefonai a papà e mamma e ricordo che dissi con solennità: «Sono a Rimini, oggi comincia il congresso». Papà mi rispose: «Stai attento». Mamma l’aveva pensato ma si era trattenuta. Accidenti avevo 29 anni compiuti ero già sposato e papà e loro mi dicevano «stai attento». Fu un un congresso epocale. La sera giravamo in delegazione da un albergo all’altro su viale Vespucci per concordare azioni e mozioni. Mi sentivo piccolo ingranaggio di una grande macchia. Per di più a Rimini, accipicchia. Tre giorni, finimmo il congresso, giornaliste e giornalisti ripartirono dagli alberghi che erano state le nostre redazioni per 72 ore e vidi quel conduttore del Tg2 sgasare dal garage del mio stesso albergo con una potente Alfa sportiva. Sgranavo gli occhi e mi chiedevo: si esce anche in macchina da Rimini. Io ci ero arrivato in treno. Da Roma. Che strana la vita: avevo familiarizzato con le strade di Roma prima che con le spiagge di Rimini. Poi mi sono riscattato. Nel 1992 mi mandarono a Bologna a fare il capo del telegiornale regionale e lì ho scoperto la bellezza e l’immensa varietà di questa regione che ha come nome due parole unite con il trattino Emilia-Romagna. Mi spiegarono appena arrivato, 30 anni fa, a fare il capo della redazione che ci doveva sempre essere il trattino e che geo-tipo-graficamente questo trattino coincideva con Imola, la città tra Bologna e Forlì che segna il punto di congiunzione, e di distinzione al tempo stesso, tra Emilia e Romagna. «Ma sciamo una regione sciola», mi dicevano tutti. Arrivò l’estate del 1993 e vedendo che pressoché ogni giorno avevamo notizie e fatti da Rimini e dalla Riviera pensai una cosa: perché andare avanti e indietro tutti i giorni da Bologna a Rimini con troupe e giornalisti quando tra giugno e settembre quasi tutto ruota attorno a Rimini? Non sarebbe meglio, mi chiesi, portare il Tg a Rimini e fare il Tg in diretta dal mare? Magari dal tetto del Grand Hotel? Ne parlai in direzione e in Regione, furono tutti entusiasti. Convenzione a tempo di record, partecipazione di enti e istituzioni, accordo sindacale. Un miracolo. Progetto in due settimane e eccoci pronti per il Tg dal mare, dal 5 luglio al 5 settembre 1993. In diretta dalla terrazza del Grand Hotel lo studio con fondale trasparente, niente fiction, niente film, ma gente e onde vere, nuvole reali. Accordo perfetto con l’allora patron del Grand Hotel il commendator Pietro Arpesella. Fu un successo giornalistico e sociale. Finimmo su tutti i giornali: primo Tg in diretta dal mare, il conduttore in giacca cravatta e bermuda, servizi freschi freschi, un temporale in diretta. In coda al Tg mettemmo tre minuti di notizie in tedesco per i turisti scritte e lette dal nostro caporedattore in lingua tedesca della redazione di Bolzano. Essendo di redazione al Grand Hotel avevamo tutto in diretta o quasi: seguimmo il primo malore di Federico Fellini che era in una stanza del piano di sotto, le star che arrivavano a Rimini erano da noi, fatti misfatti della Riviera erano seguiti e raggiunti in un battibaleno. Il collega riminese Gianfrancesco Carasso, allora nostro redattore da Rimini, ci diede una grande mano come autore e organizzatore. Tg nazionali e internazionali che volevano collegarsi con noi dal Tg sul mare. Per me un’esperienza fantastica e per tutta la redazione una sventagliata di innovazione e di creatività. Per Rimini e la Riviera un fatto veramente unico in materia di comunicazione e informazione. Così un po’ mi riscattai, non avevo conosciuto Rimini da bambino e ragazzo, come centinaia di migliaia di altre persone, ma ero riuscito a portare a Rimini il Tg. In diretta dal mare.

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