Rimini. Profughi ucraini, la riviera ne assume 2500

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«Ucraini in fuga dalla guerra, la Romagna ne ospita ancora 2.500. Quasi tutti assunti da alberghi o famiglie». A tirare le somme sull’aritmetica della solidarietà è la 24enne Marta Gladysheva, presidente dell’associazione “Doloni della nazione”.

«I profughi accolti dal grande cuore dei romagnoli sono 2.500, ma - rimarca - se consideriamo chi è tornato in patria d’estate, per aiutare i parenti, i numeri lievitano, sfiorando quota 4mila».

Tra le città che hanno accolto più rifugiati, prosegue, «spiccano Rimini, Riccione e Misano» ma, fra i Comuni più piccoli, anche Bellaria si è distinta con 165 accoglienze, di cui 65 minori, 45 uomini e 121 donne. Intanto ad accomunare i vari territori è un unico fil rouge: la prevalenza di madri con figli al seguito. «E dati alla mano, - continua la presidente - sono 150 le iscrizioni a scuola, dalla primaria alle superiori, per l’anno scolastico alle porte».

Lavoro e residenza

Nel capitolo lavoro, s’impone invece la certezza che «l’80 per cento delle donne lavora in hotel, a fronte di chi presta servizio come badante o dà una mano nelle pulizie in famiglie del posto. Solo chi ha 3-4 figli ha scelto giocoforza di non cercare un impiego».

Sul fronte abitazioni un 40 per cento è ospitato da nuclei italiani, continua ancora Marta, mentre il resto si concentra nei punti di accoglienza organizzati a livello statale, dalle parrocchie agli appartamenti.

Ma non è tutto oro quel che luccica, mette in guardia. «In entrambi i casi la situazione ha gravato sulla decina di volontari dell’associazione, al sorgere dei tanti problemi innescati dalla convivenza, seguiti dalla richiesta di essere trasferiti altrove», spiega. Tra i motivi del contendere, nota che «nonostante le indubbie qualità di entrambi i popoli alla lunga risulti stancante per gli italiani avere qualcuno in casa, così come è dura condividere gli spazi, far la fila per il bagno o organizzare turni in cucina, dove non si finisce mai di accendere i fornelli».

Il punto più inconciliabile è quello dei gusti a tavola: «Tè contro caffè e pastasciutta contro zuppe dove abbondano aglio e cipolle», allarga le braccia evidenziando che sono scoccate scintille anche sulla questione pasta in bianco «vista come un cibo da malati».

Ma talvolta ad accendere lo sconforto, ci mettono il carico da dieci «criticità e lungaggini per ottenere i documenti». In merito la referente sottolinea che «il buono da 300 euro previsto dallo Stato l’ha ottenuto solo una minima parte dei profughi».

Una guerra dimenticata

Ma a suscitare più rammarico è il fatto che «la guerra continui ma - nota Gladysheva - dei giovani che muoiono nessuno parli più».

Lei è tornata da poco da Kiev sfuggendo per miracolo ai bombardamenti, e fa presente che «i medici ucraini sono allo stremo delle forze ma anche che molti aiuti non arrivano a destinazione».

Ad aver perso la casa sotto ai bombardamenti è un 40 per cento degli ucraini accolti sul suolo romagnolo, mentre sono mutati drasticamente anche i numeri delle donazioni da inizio conflitto. «Mandavamo 20 tonnellate di aiuti ogni 5 giorni, adesso ogni tre mesi e - rincara con amarezza - scarseggiano i volontari che si impegnano fino all’ultimo. Per questo ci sentiamo abbandonati, c’è bisogno di medicinali e di cibo, più che s’infittiscono i combattimenti». Il peggio è che nella distanza lacerante, i contatti con i parenti non riescano sempre, anche se c’è una rete che corre sui social unendo le diverse città - si rallegra Marta - fermo restando che tanti erano certi di rientrare in patria entro due settimane. «Intanto si allarga il dramma di chi - conclude la presidente di Doloni - ha trovato una vita che gli va stretta perché un tempo ricopriva ruoli importanti ma ora non parla l’italiano e i suoi titoli di studio non sono neppure riconosciuti».

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