Rimini, Perrotta e l'adolescenza senza fine "De figli" al Galli

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A che età è anche colpa propria e ci si prende le proprie responsabilità? Quando si smette di essere giovani e si diventa adulti?

«È una mutazione antropologica del nostro tempo: la cronicizzazione dell’adolescenza». Forever young, per sempre figli (a carico dei genitori). È questa strana generazione allargata di “giovani”, tra i 18 e i 45 anni, la protagonista dello spettacolo di Mario Perrotta “Dei figli” in scena questa sera al teatro Galli. Testo vincitore del premio Ubu 2022 e parte finale di una trilogia dedicata alla famiglia, con cui ridere e piangere su immaturità, deresponsabilizzazione e tabù di oggi.

Sul palco quattro sempre giovani che convivono in collegamento continuo via meet con i propri genitori: il trentottenne scioperato e nullafacente con una sogno polveroso nel cassetto (interpretato da Matteo Ippolito); il venticinquenne fuoricorso ambientalista (Luigi Bignone); l’avvocatessa impegnata ma immatura in campo sentimentale (Dalila Cozzolino); e il cinquantaduenne proprietario dell’appartamento che vive la vita degli altri e nasconde la propria omosessualità (Mario Perrotta). Su grandi schermi la presenza dialogante dei rispettivi padri e madri.

Da dove è partito per la scrittura di questo testo?

«Dai dati statistici, che dicono che gli uomini sono tendenzialmente sempre più infantili e ritardano il momento dell’impegno – spiega l’autore, attore, regista Mario Perrotta –. Le donne meno, ma sono immerse in questa cultura adolescenziale maschilista aggravata dall’influenza del cattolicesimo, per il quale le donne sono considerate dirette discendenti della Madonna. Per questo nessuna può dire di non sapere come fare la mamma o peggio ancora che non vuole essere mamma, altrimenti è destinata al massacro sociale. Donne vittime di questo meccanismo che si trasformano in carnefici, cioè in madri iperprotettive».

Per la consulenza drammaturgica si è rivolto allo psicanalista Massimo Recalcati.

«Io e Massimo siamo amici da molto tempo. Lui mi ha fornito un quadro generale sui problemi della disfunzionalità dei rapporti parentali e io ho elaborato quello che vedo quando porto mio figlio a scuola».

Quali sono le cause di questa perpetua adolescenza?

«Nella maggior parte dei casi i genitori. Siamo l’unico Paese in cui durante i corsi di laurea i giovani non lavorano e nonostante questo, i nostri studenti terminano gli studi più tardi dei coetanei di altre nazionalità. C’è chiaramente qualcosa che non funziona. Chi permette tutto ciò? I genitori che fanno un patto scellerato: sostengono anche economicamente i figli che rimangono in casa, ma con il tacito accordo che i figli debbano rendere conto della propria vita a loro costantemente».

Come reagisce il pubblico di fronte a questa verità spesso negata o non riconosciuta?

«C’è un momento in cui noi attori scendiamo in sala e lasciamo lo spazio solo ai genitori-attori presenti nei monitor e osserviamo il pubblico che ride e piange contemporaneamente. Abbiamo capito che spesso le persone non sanno se riconoscersi nei genitori o nei figli».

Meglio ridere?

«Certamente sì, grazie a un’ironia che mette il dito nella piaga. Il teatro ha questa funzione: porre domande, non propone soluzioni. Mettere in luce un disagio, anche se con il sorriso, ma non consolare. A questi interrogativi brucianti le risposte sono intime, personalissime».

Sarà sempre peggio?

«No, c’è speranza. I giovanissimi stanno reagendo alle manchevolezze dei genitori e sta crescendo il senso di responsabilità sociale».

Inizio ore 21.

Info: 0541 793811

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