Rimini, parti in casa in aumento: “C’è chi si sente più sicura così”

Partorire tra le mura domestiche è una possibilità, un’alternativa a quella del parto ospedaliero disciplinata esplicitamente da una legge regionale del 1998. Il recente fatto di cronaca del bambino nato morto dopo un travaglio condotto al domicilio, a cui avrebbe dovuto fare seguito un parto domestico, apre a interrogativi e riflessioni su una pratica che che al giorno d’oggi, dopo l’avvento della pandemia, riscontra interesse sempre maggiore. Rita D’Altri, ostetrica riminese che esercita in libera professione dal 1997, dopo 13 anni di servizio in ospedale, spiega punto per punto come si articola il protocollo che ogni professionista deve seguire e quali sono le ragioni che spingono sempre più donne a decidere di dare alla luce i propri figli tra le mura domestiche.

In quali condizioni non è possibile fare un parto domiciliare?

«Secondo la legge regionale, la donna deve essere sana e la gravidanza fisiologica, in cui mamma e bimbo stanno bene. Il feto non deve pesare meno di 2,5 chili e non più di 4,4, non può avvenire prima delle 37 settimane e non dopo la 42ª. Inoltre la casa non può trovarsi a una distanza maggiore di mezz’ora dall’ospedale».

Il parto domiciliare ha un costo?

«Sì, tra i 2.500 e i 3mila euro, ma grazie alla legge regionale è possibile scaricare i costi quasi interamente. Un’ostetrica però assiste la partoriente sia prima che dopo il parto, in modo da stringere un rapporto nei mesi di gravidanza, e assistendo la neo mamma quando è alle prese con il piccolo. C’è anche un’altra possibilità, quella dell’accompagnamento: significa assistere la partoriente a casa fino a quando il travaglio non entra nella fase attiva. È un servizio sempre più richiesto (il costo si aggira intorno ai 1.500 euro), in aumento proprio dopo la pandemia, perché chi veniva ricoverata in fase precoce trascorreva lunghe ore in solitudine, in attesa di partorire».

Quanto è aumentato il ricorso a queste pratiche negli ultimi anni?

«Io effettuo in media tra i 25 e i 30 parti in casa, tra Rimini, Cesena, Pesaro e San Marino, e la tendenza è in aumento. In base ai dati dell’osservatorio regionale, i parti in Emilia Romagna, nel 2019, furono complessivamente 31.123, di cui lo 0,3% extra ospedaliero, nel 2020 (29.868 in totale), 0,5% domestici, e nel 2021 (ultimo anno disponibile, ndr), su 29.911 parti, lo 0,6% è avvenuto in casa. Anche a Rimini confermiamo l’aumento, in particolare per quanto riguarda l’accompagnamento, pratica per cui abbiamo sempre più richieste».

Rita D’Altri

L’intervista completa sul Corriere Romagna in edicola

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