Rimini, l'Ordine dei medici: i malati sono molti di più

Rimini

«Sui tamponi si può fare meglio e di più. Noi abbiamo le prove che la popolazione ammalata è molta ma molta di più rispetto a quella che risulta dalla conta dei contagiati di Asl». Senza mezzi termini, Maurizio Grossi, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Rimini, si esprime sulle modalità con cui la sanità si sta occupando del contenimento del virus. Lo fa puntando il dito contro alcune prassi, come la selezione con cui si sceglie chi sottoporre al test e chi no, o verso la possibilità di accedere liberamente agli ospedali, «come se fosse una “zona franca”». Commenta la situazione facendo però anche un “mea culpa”, perché, come ha scritto lui stesso sulle pagine di “Quotidiano sanità” «non abbiamo gridato abbastanza forte» quando la sanità veniva impoverita con tagli su tagli. E ora, «che siamo in tempi di guerra, non possiamo stupirci se i nostri reparti non sono sufficienti, quando non le erano nemmeno “ in tempo di pace”».
Dottor Grossi, quali sono le problematiche più emergenti?
«Innanzitutto è necessario assicurare più vicinanza alle persone malate, che si trovano a casa con sintomi sospetti, nella maggioranza dei casi espressione di un contagio da coronavirus, senza assistenza, perchè i medici di base non possono visitare e il ricovero in ospedale avviene solo nei casi più gravi. I medici di medicina generale ci dicono che non riescono a star dietro alle telefonate di tutte le persone che chiamano perché hanno febbre e tosse. Tutte persone che molto probabilmente hanno contratto il Covid-19, a cui non verrà fatto il test, a meno che non sviluppino una patologia più severa. Per questo noi abbiamo le prove che gli ammalati sono molti di più di quelli che comunica giornalmente Asl».
Eppure, recentemente il commissario ad acta Sergio Venturi ha dato indicazione di fare più test, anche agli asintomatici, a cominciare dal personale sanitario.
«Certo, ma il problema rimane, anche per i medici e gli infermieri. Porto un esempio: un medico entrato in contatto con pazienti positivo ha atteso cinque giorni prima che gli venisse fatto un tampone, anche se era a letto con la febbre. E’ evidente che ci sia qualcosa che non va, anche se continuiamo a raccontarci che “va tutto bene”. Se così fosse non si sarebbe arrivati al punto di disporre misure così fortemente limitative degli spostamenti e della libertà individuale. E intanto, i medici continuano ad avere dotazioni individuali protettive che arrivano con il contagocce».
Il distanziamento sociale quanto è efficace nel contenimento del contagio?
«Lo è, ma finché non si riesce ad assicurare un’assistenza alle persone malate, con una diagnosi tempestiva, utile a curarle oltre che a disporne l’isolamento, la sua efficacia è limitata. Spesso, infatti, i tamponi vengono fatti alle persone che giungono in ospedale, dopo che una lastra ha evidenziato una polmonite interstiziale. A quel punto a cosa serve il test? La diagnosi è già chiara, anche senza tampone. Al massimo, per questi pazienti i test sono utili per evidenziare la guarigione, quindi la scomparsa del virus con due test consecutivi. Testare le persone con sintomi lievi, oltre che i contatti dei positivi, permetterebbe invece di circoscrivere davvero il contagio, e di curarli prima e meglio, evitando che la patologia si aggravi. E’ sui paucisintomatici (persone con sintomatologia lieve, ndr) o asintomatici che bisogna intervenire».
Perché, secondo lei non vengono adottate queste linee, raccomandate anche dall’Oms?
«Non c’è una risposta, ma se questo non fosse possibile perché non ci sono abbastanza tamponi, che lo dicano. Ma dire che i tamponi vengono fatti usando criteri di razionalità scientifica non è la verità. Se così fosse, mi chiedo perché a Merkel e Conte vengono fatti tutti i giorni, solo per essere entrati in contatto indiretto con un membro dello staff risultato positivo. Un’evidenza scientifica è tale per tutti. O bisogna pensare che il criterio razionale è il rango sociale? I cittadini sono o non sono tutti uguali davanti al Sistema sanitario nazionale?».
Cos’altro farebbe per arginare il contagio?
«Partirei dall’accesso agli ospedali. Mentre nei supermercati si fa la fila all’esterno, in ospedale si entra e si esce senza alcun controllo, accedendo liberamente al bar o ai reparti, come se si trattasse di una zona franca. Per questo noi, come Ordine dei medici, abbiamo chiesto se c’è una procedura da adottare, prendendo ad esempio quella di un ospedale di Torino, in cui hanno ridotto i varchi di accesso, si entra con un’autodichiarazione che attesta di non essere stati a contatto con positivi, e la temperatura viene controllata con i termo scanner».

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