Rimini. Omicidio in stazione: immagini delle telecamere al setaccio

Con il passare delle ore non si dirada la nebbia sull’omicidio di Galileo Landicho. Gli investigatori della Squadra mobile della Questura di Rimini stanno lavorando senza soluzione di continuità, giorno e notte, ma fino a questo momento - almeno ufficialmente - non sarebbero emersi elementi che possano dare una svolta all’indagine. La spasmodica ricerca di testimoni che possano ricostruire le ultime due ore di vita di Galileo, le audizioni della cerchia di amici della comunità filippina unica distrazione al lavoro, non stanno fornendo nessuna plausibile spiegazione all’efferato delitto.

Nemmeno l’autopsia è stata in grado di dare una svolta all’indagine: l’anatomo patologo incaricato dell’esame autoptico dal sostituto procuratore Luigi Sgambati, infatti, ha solo confermato che la morte del giardiniere 74enne è stata causata da una sola pugnalata. Il resto dell’esame sarà descritto nella perizia che dovrebbe consegnare entro 60 giorni. Cosa potrebbe dare una svolta all’indagine? Forse la diffusione delle riprese che immortalano Galileo fino a 14 minuti prima della morte, mentre si aggira nella zona della stazione. Qualcuno potrebbe riconoscerlo e magari dare quell’input che si chiama “fortuna”, anche in vicende di una tale gravità e complessità. Una iniziativa che non sarebbe nuova per la Procura e gli investigatori della Squadra mobile di Rimini. L’aver permesso la pubblicazione di alcuni scatti, per esempio, ha consentito di arrivare all’arresto di Guerlin Butungo e della banda di stupratori di Miramare che il 26 agosto del 2017 aveva violentato una turista polacca ridotta in fin di vita assieme al fidanzato. Potrebbe davvero essere questo il grande aiuto all’indagine. Perché, con il passare delle ore, l’ipotesi che domenica Galileo sia morto per mano di uno squilibrato sta prendendo sempre più corpo. Per Rimini, purtroppo, non sarebbe una novità.

I precedenti

«Aveva sparato per il solo gusto di uccidere». Sono le parole con cui il sostituto procuratore Paolo Gengarelli aveva chiesto la custodia cautelare in carcere per Genard Llanaj che la notte tra il 17 e 18 aprile del 2018 uccise con un colpo di pistola il giovane migrante senegalese Makha Niang, seduto sulla panchina del ponte di via Coletti al termine della passeggiata degli Artisti. Passando con la sua Audi, aveva abbassato il finestrino e poi aveva premuto il grilletto come si fa al tiro al bersaglio del luna park. La sagoma, però, non era di cartone. Era quella di un ragazzo che, finito di lavorare, stava telefonando ad una cara amica. Ad inchiodarlo alle sue responsabilità la testimonianza di una ciclista e le immagini delle telecamere davanti a cui era transitato nel suo viaggio di morte da Marina centro a Rivabella. Sedici gli anni che trascorrerà in carcere: l’aver rinunciato per “troppo stress” a presentare ricorso in Cassazione ha infatti reso definitiva la condanna d’appello.

Non è stato invece mai dato un nome al killer di Fabrizio Franciosi. Era Il 23 novembre del ’91 e il 27enne sammarinese figlio di un ex Capitano reggente, di ritorno da una festa di laurea, venne sgozzato in auto mentre era fermo in viale Principe Amedeo, ai piedi del grattacielo. Ospite di una comunità di recupero fino a poche settimane prima del delitto, aveva rivelato al fratello di aver scoperto casi di molestie sessuali e di essere stato minacciato e allontanato per quello.

Domenica la comunità filippina ricorderà Galileo con una messa nelle chiesa di via Santa Chiara. E.Ch.

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