Rimini. Nel Pc del cameriere gigolò 1000 immagini pedopornografiche

Se dall’accusa di essere stato il cosciente gigolò, mancato untore dell’ex fidanzata e di almeno altre due partner conosciute in Rete è stato assolto lo scorso ottobre, più difficile sembra essere questa volta la posizione dell’aitante cameriere con la passione delle donne e delle belle auto. Il 33enne che ha imperversato nei talami della Romagna anche nei 7 anni in cui l’Hiv consigliava di ridurre al minimo i rapporti sessuali, da ieri mattina è nuovamente alla sbarra davanti al tribunale di Rimini, per rispondere del reato di detenzione di materiale pedopornografico. È infatti successo che nel computer sequestrato dai carabinieri di una stazione del Riminese quando venne arrestato nel novembre del 2019, i militari avevano rinvenuto quasi mille immagini (978 per l’esattezza) dal contenuto sessuale inequivocabile; di quelle da far rivoltare lo stomaco. Si trattava infatti di scatti di violenze sessuali commesse ai danni di giovanissime adolescenti. Un repertorio dell’orrore «di indubbia natura», in gran parte già archiviato in cartelle dove era possibile individuare facilmente la vittima delle violenze: Bed Orgy (scene di sesso con minorenni sul letto); Carl (unico protagonista un ragazzino); Bi (riservata per scene con rapporti orali, ovviamente sempre con soggetti minorenni). Immagini scaricate sul personale computer attraverso il programma “Emule”, scatti poi scambiati - stando all’accusa sulla base delle indagini tecniche chieste dalla procura della Repubblica - con pornopedofili della Rete.

Ieri mattina, come detto, il procedimento è stato incardinato. La pubblica accusa era rappresentata dal sostituto procuratore Davide Ercolani. L’imputato, d’ufficio, era assistito dall’avvocato Alberto Zabberoni del Foro di Forlì. Il dibattimento, dopo la presentazione di alcune eccezioni da parte della difesa, è stato aggiornato al prossimo 5 ottobre.

Il precedente

L’indagine parte nel mese di luglio 2019 dalla denuncia della donna con la quale l’arrestato ha avuto una relazione durata un anno e mezzo. Dopo quattro mesi di convivenza lei scopre per caso, trovando delle analisi in un cassetto, della sieropositività del compagno. Lui non le ha detto mai niente, ma fortunatamente gli esami escludono il contagio. La relazione va avanti, fino a quando lei scopre i ripetuti tradimenti su internet. Lo lascia e poi va dai carabinieri di una stazione del Riminese in preda a una crisi di coscienza: «Ho paura che il mio ex, positivo all’Hiv, possa contagiare delle donne ignare della sua condizione: ho scoperto che frequentava a mia insaputa dei siti di incontri».

L’indagine

Per prima cosa i militari accertano attraverso l’acquisizione delle cartelle cliniche che le cose stanno davvero così e scoprono anche che lui, perfettamente consapevole di essere affetto dal virus, si disinteressa di terapie e trattamenti. Gli investigatori vanno indietro nel tempo e chiedono notizie alla prima compagna dell’uomo: durante i primi tempi di una convivenza quasi decennale i due scoprono di essere sieropositivi. «Lui dava la colpa a un ago da tatuaggio».

Infine, in attesa di mettere pienamente le mani sui dati e sulle chat ancora nascoste nei dispositivi elettronici dell’uomo (telefonino e computer), i carabinieri contattano altre donne. Tre di loro, avvisate delle circostanze dell’inchiesta, ammettono di essere state contattate su internet (per lo più Facebook), di avere accettato di incontrarlo una sola volta, nella quale però tutte hanno riferito di avere avuto con lui un rapporto sessuale completo, senza profilattico. A nessuna di loro lui aveva riferito di essere positivo all’Hiv: non avrebbero disdegnato di avviare una relazione con quel ragazzo bello, educato e prestante. Invece lui, spariva dalle loro vite, senza dare spiegazioni.

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