Rimini, Maurizio Focchi: "In Cittadinanza c'è tutto me stesso"

Per anni, racconta, si è chiesto quale Maurizio Focchi fosse, se l’imprenditore di successo diventato o il medico psichiatra mancato. Ora il premio Iano Planco d’oro dimostra che è l’uno e l’altro, non c’è distinzione tra lavoro e passione, le scelte fatte da giovane si ricongiungono in Cittadinanza, la ong da lui creata nel 1999 quando, mentre traghettava l’azienda di famiglia nel mercato internazionale, dava forma e sostanza al suo grande interesse per la medicina, meglio, per la cura. Perchè Cittadinanza si occupa di creare un futuro a chi soffre di disturbi mentali e ai bambini con disabilità nei Paesi a basso reddito. E’ in questa ong di nicchia (sono pochissime quelle nel mondo che si occupano di queste problematiche) che all’interesse per la psichiatria Focchi unisce quella per la cooperazione. E ora l’Ordine dei medici di Rimini riconosce che Cittadinanza incarna il principio etico della medicina.

Cosa l’ha spinta a creare Cittadinanza?

«Avevo già scelto, nel 1982, di mettere la laurea di Medicina nel cassetto ed entrare nell’azienda di famiglia. Ma ho sempre coltivato un interesse per la medicina, in particolare per la psichiatria, e anche per la cooperazione nazionale. Seguivo convegni, mi interessavo a quanto accadeva in quel campo. Forse la svolta l’ha data l’incontro con Benedetto Saraceno, direttore del Laboratorio sociale di psichiatria sociale del Mario Negri e direttore del programma di salute mentale dell’Oms. E’ stato con l’istituto Mario Negri che ho iniziato i primi progetti nei Paesi dell’America centrale e Latina dove con la chiusura dei manicomi occorreva creare delle alternative».

Intervenire nei Paesi più poveri al mondo dove si muore di guerra e di fame a sostegno di chi ha patologie mentali, una minoranza. Può apparire una scelta non troppo funzionale alle necessità della maggioranza che soffre.

«Sì me lo sono spesso domandato anche io. Ma adesso credo che il premio Iano Planco dimostri che ci avevo visto giusto! Ma del resto ho seguito un mio istinto, un desiderio, un percorso personale al quale ho deciso di dare struttura con Cittadinanza. In realtà mi ero già in parte risposto quando ho letto uno studio dell’Università di Harvard che dimostra che se la mortalità nei Paesi poveri avviene per altri fattori, gli anni di vita persi con le malattie mentali hanno un impatto altissimo non solo dal punto di vista famigliare ma anche sociale e persino economico. La la sfida più grossa però è quella sui diritti delle persone. Credenze popolari, tradizioni, usi le portano ai margini della società, proprio in senso fisico: abbandonate nelle foreste, incatenate, isolate nelle capanne».

Fin qui l’impegno a favore dei malati mentali. E i bambini disabili, quando Cittadinanza ha iniziato a intraprendere anche questo tipo di sostegno?

«Lessi per caso un articolo del Corriere della Sera che parlava della creazione di istituti, dopo la guerra, dove venivano “ricoverati” i bambini disabili in Serbia. Era proprio un modello sbagliato, i bambini trattati come malati, senza possibilità di essere inseriti nella società. Lo scopo, in tutti i nostri progetti, è di tutelare i diritti delle persone, in questo caso creare percorsi di reinserimento in ambito sociale. Così come in uno slam di Nairobi, dove abbiamo un progetto che segue 800 bambini. Non facciamo mai tutto da soli, collaboriamo con realtà locali, in questo caso gran parte del lavoro è nel coinvolgimento delle madri per non farle sentire colpevoli di avere messo al mondo un figlio “diverso”, così come accade in quel Paese, dove un bambino può essere lasciato per sempre in un angolo di una capanna di lamiera. C’è un aspetto di ripresa fisica del bambino, per restituirgli l’autonomia, e uno sociale, nell’inserimento scolastico».

E chi si occupa di tutto questo? Quanto lei è coinvolto personalmente?

«Cittadinanza ormai è strutturata sotto la direzione di Alessandro Latini. Ma la maggior parte delle persone coinvolte sono volontari, parliamo sia di medici che di psicologi, di specialisti perchè i progetti come quelli di Cittadinanza sono molto rari. All’inizio ero più coinvolto, adesso un po’ meno perchè la ong cammina da sola».

E come si finanzia?

«Tuttora con il contributo della mia azienda, con quello di persone, all’inizio amici, coinvolte nel percorso. C’è anche il sostegno locale dei riminesi ma ovviamente abbiamo sempre bisogno di aiuti. E’ importante che Cittadinanza venga conosciuta».

E veniamo così al premio Iano Planco d’oro dell’Ordine dei medici di Rimini.

Sì, all’inizio non ci credevo. Mi chiedevo cosa c’entrassi io al di là del fatto che sono ancora iscritto all’Ordine dei medici. Ma come dicevo rappresenta veramente quello che sono, quello che ho creato: un progetto sociale con implicazioni mediche ed economiche. Forse essere Maurizio Focchi, l’imprenditore, mi ha aiutato soprattutto in quest’ultimo aspetto, come in quello organizzativo. Ma mi sento di dedicarlo a tutti coloro che lavorano per e con Cittadinanza, a tutti i volontari, senza loro non funzionerebbe. Ma siamo sempre alla ricerca di aiuti, sia economici che professionali, questo premio spero serva anche a fare conoscere ancora di più i progetti di Cittadinanza e a trovare sostegni».

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