Rimini, "Lolli mercante d'armi? Pura fantasia"

I fuochi d’artificio nelle 122 pagine della memoria difensiva con cui l’avvocato Claudia Serafini rispedisce al mittente le accuse che vedono Giulio Lolli processato dalla Corte d’Assise di Roma con l’accusa di essere un terrorista e un trafficante internazionale di armi, iniziano a brillare già a pagina 4. Qui il legale affronta in modo sintetico e diretto la genesi di questa seconda vicenda giudiziaria dell’ex patron di Rimini Yacht. Ovvero le due ispezioni concluse con il rinvenimento di armi nella stiva della Mephisto. Imbarcazione poi ribattezzata El Mukthar all’epoca iscritta al registro navale di Genova di proprietà di una società riminese di cui Lolli ha trattato l’acquisto come intermediario per conto della società libica Al Mirsad Ltd, la stessa società che acquisterà anche la Leon, seconda imbarcazione questa sì di proprietà di Lolli fino al 2014. Ad eseguire le famose ispezioni due unità impegnate nella missione di pace Ue “Operazione Sofia”.

Primo “giallo”

Scrive l’avvocato Serafini: «Il competente Ufficio dell’Unione Europea (European Union External Action Service) ha risposto che nell’archivio e nella banca dati di gestione dei documenti, non sono stati trovati i “Rapporti classificati del comandante della nave tedesca Fgs Rhein e del comandante della nave francese Fs Blaison – Operazione Sophia - in merito alle ispezioni sulla motonave Mephisto il 1.5.2017 e 19.06.2017, nonché i nomi dei comandanti”». Questa, secondo il difensore di Lolli, è solo la prima di una delle tante pietre posate per la costruzione di un’inchiesta «frutto di pura fantasia degli investigatori» che alla luce delle risultanze processuali e delle indagini difensive sarebbe stata montata ad arte: perché si siano prestati a questo “gioco” un tenente di vascello, un tenente colonnello e un maggiore del Ros dei carabinieri non è spiegato.

È invece molto chiaro per la difesa che tutti hanno fornito alla Procura romana solo informazioni di seconda mano, “de relato” e mai verificate di cui deve essere stabilita la loro «inutilizzabilità». Notizie, sottolinea l’avvocato Serafini, farcite da una montagna di errate informazioni sullo stato dell’arte della situazione libica.

Come quella sulla Mjlis Shura Thuwar di Bengasi, detta anche Consiglio consultivo dei rivoluzionari di Bengasi, dove Lolli era stato arruolato con il grado di comandante, definita un’organizzazione terroristica solo dalla Procura di Roma sulla scorta delle dichiarazioni errate di uno dei tre ufficiali in sede di indagini, ribadita anche nella risposta a precisa domanda in aula della difesa.

E cioè che lo “status” terroristico era stato affibbiato al Consiglio consultivo dei rivoluzionari di Bengasi dal pannello degli esperti Onu. Che non può farlo perché corpo tecnico ausiliario del Comitato per le sanzioni per la Libia imposte per le violazioni dei diritti umani del regime libico Gheddafi. Lo può invece fare il Comitato antiterrorismo Isil sempre delle Nazioni unite che il 16 novembre del 2020, rispondeva via mail alla richiesta della difesa, che il Consiglio non era presente nelle lista delle associazioni terroristiche. Anzi, il Pannello Onu sancì che il Consiglio era «una coalizione militare che si è formata con il solo scopo di difendere la Bengasi assediata per 33 mesi dal Lna (Lybian National Army), a seguito del golpe militare di Haftar, e non anche per commettere atti di terrorismo o perseguire un programma di ispirazione Jihadista». Informazione anche questa “dimenticata” - evidenza l’avvocato - dal solito teste con le stellette in fase di indagine prima e poi durante il dibattimento».

Realtà ribaltata

Smontata, dice l’avvocato, anche la tesi che voleva Lolli vero proprietario del Mephisto. Sullo scranno dei testimoni della prima sezione della Corte d’Assise di Roma, si è infatti seduto l’imprenditore riminese che in prima persona ha detto d’aver trattato la vendita e consegnato a Misurata il Mephisto alla nuova proprietà, consegna avvenuta alla presenza di un rappresentante del governo in carica. L’avvocato Serafini evidenzia quindi come l’istruttoria dibattimentale ha chiaramente dimostrato che Giulio Lolli oltre a non aver mai trattato la vendita di armi ha lavorato unicamente per le Forze rivoluzionarie della marina di Tripoli dette anche Forze speciali di sicurezza marittima” (Fssm) o Thuwar Tripoli Port ossia per la polizia marittima di Tripoli alle dirette dipendenze del governo libico riconosciuta dall’Onu e dall’Unione europea; autorità che non ha alcun collegamento, invece, con Majlis Shura Thuwar Benghazi.

Il processo a Giulio Lolli per terrorismo e traffico internazionale d’armi è stato incardinato nel 2019 quando ancora si trovava in carcere in Libia a seguito della condanna all’ergastolo perché accusato dalle autorità locali di avere fiancheggiato un gruppo armato islamista. Espulso, appena messo piede in Italia, era finito nel carcere romano di Regina Coeli. La sentenza è attesa per il prossimo 28 febbraio.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui