Rimini, lo chef: "Doppio turno di riposo e stipendio corretto, è così che si riparte"

Quarantasei anni, chef fra i più affermati del territorio (“Ma mi piace considerarmi e definirmi semplicemente cuoco”), Paolo Bissaro è al lavoro insieme a un socio (imprenditore nella ricettività alberghiera) a un progetto a sei zeri per una nuova attività di ristorazione dall’offerta diversificata in zona Rimini nord, anche se sul luogo preferisce non scendere nei dettagli. L’apertura è prevista nella primavera 2023, ma da mesi è scattata la ricerca della forza lavoro in un settore che piange carenza di personale. La brigata è quasi completata con l’individuazione di cinque-sei figure con cui coprire i vari turni della cucina, ma per riuscirci è stato ed è necessario percorrere una strada ben precisa. «Solo mostrando una progettazione concreta dell’attività e proponendo doppio turno di riposo e retribuzione corretta si ricevono risposte positive. I giovani e i meno giovani per mettersi in gioco esigono tre aspetti: la qualità pratica del lavoro, ovvero il rispetto cioè della stagione, degli alimenti, dei fornitori, di chi lavora nei campi, uno stipendio commisurato alle ore e il poter avere tempo libero».

Questa crisi è figlia della pandemia?

«La ristorazione come tutti i settori ha subito un contraccolpo in termini di occupazione facilmente imputabile al Covid, ma a mio avviso la pandemia è stato solo l’acceleratore, rappresenta l’ombrellino nello schivare le motivazioni endemiche. Le problematiche sono più complesse e figlie dell’insostenibilità economica, sociale e ambientale».

Partiamo dalla prima. A cosa si riferisce?

«L’offerta è superiore alla vera capacità della domanda a mantenere stabile il settore: in sintesi, ci sono troppe attività e il liberismo economico senza una pianificazione territoriale mostra i suoi limiti. La liberalizzazione tanto auspicata ha generato un corto circuito economico nelle sue fondamenta, con ricadute quali il turn over elevato di aperture e chiusure dei ristoranti, la riduzione degli stipendi e dei margini aziendali, la tassazione inadeguata ed eccessiva per l’azienda e per il lavoratore dipendente».

Perché invece insostenibilità sociale?

«Mai come oggi, chi è imprenditore nella ristorazione ha un reddito inferiore rispetto al lavoratore dipendente ma è vero anche che quest’ultimo è obbligato a lavorare in condizioni retributive inaccettabili nel rapporto con le ore: insomma è un bel pasticcione italiano o un bel pudding internazionale».

Infine c’è l’insostenibilità ambientale.

«Non esistono percorsi virtuosi per ottimizzare i processi di lavoro ponendosi come obiettivo l’utilizzo massimo delle risorse: fra l’altro, siamo in un periodo storico in cui la materia prima energetica è ormai bene di lusso ma l’aspetto ambientale non è trattato, come dovrebbe, con maggiore attenzione e maggiore possibilità di agevolazione su iter certificabili e da certificare».

A questo mix si aggiunge poi l’aspetto del tempo libero su cui non si transige più.

«Quello che tiene unito il lavoratore dipendente con l’imprenditore ristorativo è una non vita, una specie di tempo sospeso in cui non c’è spazio per sé, per la famiglia, per gli amici. Non c’è spazio per nulla. Questa dinamica è antica, si è sempre fatto così: negli anni ruggenti dei vitelloni si lavorava l’estate per mettere da parte i soldi per l’inverno un po' come le formiche nelle favole dei bimbi, poi è successo che ci siamo destagionalizzati e i contratti sono radicalmente cambiati. Aggiungiamo anche l’impatto che hanno avuto la tv, la guida Michelin, le guide di ogni tipo: si è prodotta una bolla che è esplosa e non si sta esaurendo. In tale contesto è cambiato l’approccio al tempo, che è diventato un valore, ma non cambia il fatto che nessuno vuole risolvere il problema perché sarebbe obbligatorio deporre le istanze, trasformarle in dialogo e fare una seria pianificazione dell’offerta che sostenga tutte le parti in modo equo e umano»,

Come si esce da questa dicotomia?

«Tutti assieme, proponendo contratti di lavoro in regola e sostenibili, pianificando e organizzando il ristorante per poter rispondere alle esigenze economiche, sociali e ambientali, disciplinando territorialmente il numero dell’offerta per mantenere un’ossatura sana del comparto, un’alleanza tra imprenditori del settore con il sindacato per attivare processi virtuosi decisioni che coinvolgano le parti. Non è la ricetta, ma il tentativo per uscire da questa crisi: la ristorazione è tanto avanti nei sapori e nella tecnica ma è altrettanto arretrata in cultura d’impresa».

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