Rimini. Laureato a 26 anni subito "arruolato" contro il Covid

Rimini

Al fronte, in prima linea contro il Sars Cov-2, ci andato di sua spontanea volontà, appena due mesi dopo la laurea. Francesco Dell’Omo, 26enne riminese aspirante chirurgo, lo scorso giugno si è laureato in Medicina e chirurgia e ad agosto è stato “arruolato” in Pronto soccorso. «Dopo un mesetto di Guardia turistica ho dato la disponibilità per i reparti di urgenza e per entrare a far parte delle Usca», racconta il giovane medico, spiegando di essere stato alla ricerca di un’esperienza in grado di formarlo. Così, quando il giorno successivo alla compilazione della domanda sono arrivate le proposte per entrambe le posizioni a cui si era candidato, Dell’Omo non ha avuto dubbi. «Ho scelto il Pronto soccorso. In attesa di entrare in specializzazione il prossimo anno, volevo mettermi alla prova nell’ambito delle urgenze, perché è lì, nella chirurgia d’urgenza, che ho sempre visto il mio futuro professionale».

Come ha reagito di fronte alle tute, alle visiere, alla quotidianità del Covid in ospedale che dalle immagini in televisione è diventata improvvisamente realtà?

«Io sono uno che si adatta, e poi nel 2019 ho fatto un’esperienza di due mesi in un ospedale in Africa e lì la situazione è diecimila volte più drastica di quella da noi con il Covid. Questo mi ha forgiato, mi ha aiutato a non arrivare spiazzato. Purtroppo però il fatto di indossare tutti i dispositivi e di dover mantenere le distanze pregiudica un po’ il rapporto con i colleghi. A volte, quando vediamo qualcuno che si toglie le maschere per bere capita di dire “ehi, ma non ti immaginavo così”».

Ha mai avuto paura ?

«Fino a qualche mese prima, all’università, non avevo idea di cosa significasse avere in mano la vita di una persona, avere la responsabilità di dover prendere una decisione cruciale in pochi minuti. Bisogna essere bravi a lasciar perdere la paura e gestire le urgenze, capire le priorità, mantenendo la lucidità. Questo mi è capitato più nei reparti a basso rischio, non Covid, perché i codici da gialli possono precipitare in rossi all’improvviso. Per quanto riguarda il Covid non ho avuto grande paura. Nonostante gli accessi numerosi, mi sono sempre sentito tranquillo. Questo grazie alla guida della primaria Tiziana Perin, che risponde sempre al telefono, anche di notte, e possiamo contare su un’ottima organizzazione. La caposala e la bed manager tengono le redini della gestione dei posti letto, e nonostante la situazione critica riusciamo a ricoverare tutti i pazienti che ne hanno necessità».

Dopo un anno dall’inizio della pandemia non sembra cambiato niente, dovete ancora coprivi completamente...

«Quando lavoriamo nei percorsi ad “alto rischio”, quelli cosiddetti “sporchi”, dobbiamo indossare la tuta, doppia mascherina, visiera, doppi guanti, quelli sterili chirurgici sotto e poi un altro paio sopra, e sigillare caviglie e polsi con lo scotch per garantire la tenuta stagna. A volte, invece dei calzari, utilizziamo dei sacchi di plastica che fissiamo ai piedi: sono più economici e hanno la stessa funzione. E tutti questi dispositivi devono essere mantenuti per tutta la durata del turno. Quello base è di sei ore, quello di notte di 12. Per tutto il tempo in cui siamo in alto rischio non possiamo toccare la mascherina, bere o andare in bagno, e se proprio hai un’urgenza, devi svestirti, andare nel reparto a basso rischio, e poi rivestirti del tutto. Per la vestizione ci vogliono almeno cinque minuti, un po’ meno a svestirsi, ma bisogna fare molta attenzione a togliere prima i guanti, a gettare le tute nei bidoni appositi, e disinfettarsi secondo le procedure».

Perché nonostante la vaccinazione dovete continuare a lavorare così bardati?

«Non nascondo che a volte ce lo chiediamo anche noi. Ma la risposta è che il vaccino è in quarta fase di studio, devono ancora uscire i dati accertati in merito alla protezione completa e alla copertura su tutte le varianti, per cui per precauzione è necessario continuare a indossare tute e calzari nei percorsi ad alto rischio. Proprio in questo momento, inoltre l’azienda sta effettuando il test di sieroprevalenza per verificare la risposta anticorpale su ognuno di noi. Da quando ci siamo vaccinati, comunque, non si è verificato più nessun caso di positività tra di noi, nonostante i continui contatti con pazienti affetti da Covid».

C’è qualcosa che le ha fatto particolarmente impressione?

«Auscultare i polmoni dei pazienti Covid. Normalmente fanno un rumore simile a quello del vento in una caverna, ma la polmonite da Covid provoca dei crepitii tipo quelli dello strofinamento del velcro».

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