Rimini, "la vita è bella": dentro l'albergo dei bimbi salvati VIDEO

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«Le vedi, quelle? Mamma, nonna e due ragazze? Loro sono arrivate stanotte alle 3. Si sono appoggiate in una camera al volo, ma adesso hanno bisogno di una sistemazione». All’hotel Brenta di Viserbella, quello che è diventato il quartier generale per l’accoglienza dei profughi ucraini, le emergenze si susseguono l’una fino a diventare «la normalità». Tatiana Babailova e Giosué Salomone lo dicono quasi all’unisono. Sono marito e moglie, albergatori di professione, lei russa e lui italiano, il presidente dell’associazione “Riviera sicura”. «Sono russa, sì – ammette la donna – ma sono contro la guerra. Sono stata io a coinvolgere mio marito: l’ho portato in piazza quando c’era la manifestazione degli ucraini, e a quel punto è stato un attimo. Ci siamo lanciati in questa impresa e abbiamo perso il conto dei giorni, praticamente non dormiamo più». Gli occhi di Tatiana sono brillanti ma stanchi, si appoggia a una sedia mentre il marito racconta che le ucraine appena arrivate, invece che il letto o qualcosa da mangiare, chiedono un telefono per chiamare il marito o i fratelli, la mamma o i parenti anziani rimasti in patria. «Per gli ucraini il roaming dati non è gratuito: appena superano il confine – spiega Giosué – perdono i contatti fino al primo wifi e nei lunghissimi viaggi il cellulare si scarica. Una volta in salvo, la loro necessità primaria è comunicare: sapere che i loro cari sono vivi».

Le testimonianze

Molte, quasi tutte le donne ospitate al Brenta hanno lasciato i maschi della famiglia in patria, pronti a combattere. Eppure, parlando con queste signore, la maggior parte trentenni con figli anche di una decina di anni, non emerge un’angoscia immediatamente percepibile. «Sono sotto shock», sostiene Tatiana, giustificando una calma apparente, comune alla maggior parte dei visi che si incontrano. «Mio marito adesso non sta combattendo: ha appena ricevuto il documento per essere arruolato. Ma non in prima linea: lì ci vanno i militari di professione». Maria parla a voce ferma, tranquilla, raccontando la fierezza e l’orgoglio con cui il marito difende la loro nazione. Lei è qui insieme ai due figli di 12 e 5 anni, «il più grande ha capito tutto, il piccolino pensa che sia un gioco. Gli abbiamo detto che il babbo non è potuto venire con noi, che deve stare a casa perché ci sono i russi che ci attaccano, ma come se fosse tutto un gioco, senza esagerare. Lui è tranquillo, vede il mare, pensa di essere in vacanza». Maria non ha bisogno di un interprete: sa parlare italiano, è stata qui in vacanza. E tu non hai paura? Sei preoccupata per tuo marito? «No, non ho paura, bisogna stare calmi. Sono abituata a queste situazioni: faccio la psicologa in ambito militare, conosco la guerra. Infatti vorrei dare il mio contributo anche qui, vorrei aiutare le persone a elaborare quello che stanno vivendo». La volontà di mettere a disposizione degli altri il sapere della sua professione – spiega Maria – è un modo per rendere grazie, per restituire il «bene che gli altri danno a me». «Qui, ucraini e italiani volontari, e pure i russi sono sinceri. Ci aiutano e ci regalano tutti i giorni sorrisi. Non è poco e non me l’aspettavo». Anche un’altra signora, senza figli e senza marito, arrivata insieme a un’amica, racconta inarcando le labbra all’insù che sta bene, che si sente al sicuro, lontana dalla guerra, che c’è da mangiare e tutto il necessario.

L’associazione

«Gli orari sono un po’ quelli degli alberghi – spiega il presidente dell’associazione, a capo della gestione dell’hotel – abbiamo le colazioni fino alle 10, poi alle 12.30 il pranzo e la sera la cena. Arrivano derrate alimentari in continuazione e lavorano tre cucine contemporaneamente. Solo tra questo hotel, il Fatima e il Bonaria, qui a Viserbella, ci sono 250 persone, di cui il 60% bambini. Una delle prime cose che abbiamo fatto è stata togliere le cyclette dalla stanza fitness e metterci i giochi. Tra privati e negozi ce ne hanno regalati tantissimi, e adesso non sappiamo più dove metterli». Il passare del tempo all’hotel Brenta è scandito dai ritmi dei pasti, dalle passeggiate sul lungomare, dalle telefonate a casa. In una commistione di spazi e persone, ci si prende cura le une dei figli degli altri, ci si scambiano informazioni utili alla permanenza in Italia, che tutti sperano sia la più corta possibile, ci si aggiorna sulla guerra, ci si racconta a vicenda del proprio Paese e della propria città. «Per me – dice Giosuè – possono fare quello che desiderano, purché non si mettano in pericolo. Ma non avendo mezzi per spostarsi possono fare poco». Intanto, giovedì scorso, gli operatori di Ausl Romagna sono arrivati in hotel per compilare l’anagrafe sanitaria di tutti i rifugiati, così da garantire a tutti la tessera sanitaria per l’assistenza temporanea. Un’operazione complessa, svolta insieme ai volontari russi e ucraini che si sono prestati a fare da interpreti. «Lo abbiamo saputo 10 minuti prima, siamo un po’ all’arrembaggio», confessa l'albergatore, spiegando che ormai ci hanno fatto il callo. «Ne arriveranno altri: solo oggi abbiamo 132 richieste». Mamme, ragazze e bambini affrontano cercando di trovare sempre la forza per un sorriso. Quando Aleksandra, 28 anni, spiega che ha dovuto lasciare il marito, bielorusso, in Ucraina, chiama le sue bambine a sé per fare una foto. Aiutata dall’interprete (un volontario ucraino che parla italiano con accento romagnolo) racconta che spera solo di tornare a casa presto. Le bambine? «Il papà è dovuto rimanere perché gli uomini non possono partire. Noi qui stiamo bene, forse le bimbe pensano di essere in vacanza». Per altri bambini, invece, come Giosuè de La vita è bella, che neanche a farlo apposta ha lo stesso nome del gestore dell’hotel, la guerra è solo un gioco, un gioco a cui il babbo lontano sta giocando contro i russi per vincere il “carro armato vero”. «Una sera è arrivato un bambino – racconta il Giosuè adulto, quello che coordina l’accoglienza – piangeva disperato finché tra i giochi non ha trovato un fucile finto. «Gioco alla guerra contro i russi – ha detto alla mamma – come il papà».

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