«Che lavoro stiamo facendo?». Più che una domanda, è uno sfogo quello di Cecilia Gamberini, insegnante di italiano di tre classi dell’istituto “Einaudi-Molari”, di fronte alla situazione delle scuole alle prese con molti casi di positività al coronavirus o di quarantene-isolamento sia fra i docenti che tra gli studenti. «Saremmo insegnanti, ci sembra di essere i guardiani del Covid. Ci sentiamo un po’ abbandonati».
Situazione ingestibile
La riapertura dopo le festività natalizie «non è gestibile – non usa mezzi termini -. Domenica sera ho ricevuto l’ennesimo messaggio su una positività, quindi ho dovuto chiedere a tutti i ragazzi di procurarsi una mascherina Ffp2, che magari neanche possiedono, perché le dovevano fornire, però non si sono viste. E ieri mattina qualcuno mi ha scritto chiedendomi se è stato a contatto o meno con il compagno positivo, o dicendomi che non si sente tranquillo, che non si sente bene o che ha scoperto poco prima di essere stato a contatto con dei positivi. E le colleghe che hanno più classi mi raccontano situazioni addirittura peggiori».
Un clima che si ripercuote sugli studenti, perché «si accorgono della contraddittorietà di alcune normative e delle nostre perplessità – aggiunge -. Non sono stupidi e si domandano il perché dell’irrazionalità di certe decisioni. Il 7 mi hanno chiesto “Che cosa ci facciamo qua?”. Sono cristallini e quando notano qualcosa che non li convince dicono tutto quello che pensano».
Eppure, per il governo la riapertura non è mai stata in discussione. «La chiusura ha un risvolto pratico che è l’impossibilità di lasciare un bambino delle elementari o delle medie a casa da solo davanti a uno schermo – osserva Gamberini -. E la didattica a distanza e l’impossibilità di vivere una socialità normale hanno provocato scompensi psicologici».
Ma adesso «sembra che vogliano far vedere che le cose stanno funzionando comunque – commenta -, o che abbiano preso chissà quali provvedimenti per migliorare la situazione, però continuano a valere solamente le mascherine e la sanificazione delle mani, considerando che c’è stata la deroga sul metro di distanza».
Insomma, «dovremmo dare ai ragazzi speranze sul futuro, ma così le loro aspettative e i loro sogni vengono affossati – conclude -. E si sentono poco considerati».
Classi dimezzate
«Le classi sono praticamente dimezzate – continua Emma Serpa, responsabile Covid dell’istituto -. Ho sei classi, e il 7 in due classi c’erano quattro studenti. La maggior parte è a casa in quarantena a causa di una positività o in isolamento. È veramente faticoso fare lezione in questo modo».
Di fatto, «siamo tornati, anche senza una dichiarazione ufficiale, alla didattica integrata – commenta -. Personalmente, non sono favorevole. Siamo stati costretti e l’abbiamo fatta, cercando di adottare tutte le strategie possibili per aiutare e sostenere i ragazzi. Fosse stato per me, questo mese li avrei lasciati a casa, nell’attesa che la situazione migliorasse».