Rimini, la porsche confiscata e gli alberghi per non pagare le tasse: famiglia condannata

Il patrimonio accumulato e stimato in 14 milioni di euro centesimo più centesimo meno, a parere del Gup Vinicio Cantarini, deve rimanere a disposizione dello Stato che lo ha ricevuto dopo il sequestro a scopo di confisca eseguito il 23 settembre del 2019 così come richiesto dal pubblico ministero Paolo Gengarelli. È la “sanzione” accessoria della sentenza non certamente morbida nonostante la riqualificazione dei reati e il rito abbreviato che prevede lo sconto di un terzo della condanna, rimediata da Ercole (residente a Cesenatico) e Veronica D’Amico e dalla madre Anna Frabotta “superstiti” dell’inchiesta Calypso chiusa alcune settimane fa da Mauro D’Amico e da un terzo figlio Nicola riconosciute come le menti del maxi raggiro ai danni del Fisco, del Comune, dell’Inps, dei gestori dei servizi (luce, gas, acqua) con due condanne patteggiate a tre anni e 8 mesi di reclusione. Gli altri due figli e la consorte chiamati a rispondere dal giudice del reato di impiego in concorso di denaro, beni o utilità di provenienza illecita se la sono invece cavata con la condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione e 6mila euro di multa ciascuno. Un anno, invece, la pena inflitta per bancarotta ad altri due imputati, Ernesto Ferrara e Alsabbach. Il giudice ha invece graziato la famiglia respingendo la richiesta di risarcimento danni avanzata dalle parti civili: Agenzia delle Entrate, Hera, la curatela fallimentare delle 27 società create ad hoc per non pagare tasse, contributi, bollette.


L’inchiesta

A far saltare in aria la perfetta macchina messa in piedi da Mauro D’Amico protetta dalle soffiate del figlio Ercole, dipendente dell’Agenzia delle Entrate di via IV Novembre in grado di controllare se sull’impero erano in corso accertamenti, i finanzieri del comando provinciale di Rimini. Mauro e Nicola D’Amico è stato accertato costituivano annualmente, in veste di amministratori o soci, nuove società con le quali gestivano, solitamente per un solo anno e con lo stesso personale, varie strutture alberghiere riminesi comprese due di proprietà, per l’accusa acquistate grazie ai proventi dell’evasione. In questo periodo venivano pagati esclusivamente i dipendenti e i fornitori, soggetti irrinunciabili per il regolare funzionamento delle strutture ricettive. Al termine della stagione o comunque nell’imminenza delle scadenze di legge relative agli obblighi fiscali e societari, Mauro e Nicola D’Amico spogliavano delle quote societarie, dell’amministrazione e della rappresentanza legale le società cedendole a delle teste di legno i cui nomi servivano per trasferire in Albania le sedi legali. Quando avveniva la migrazione i contratti d’affitto d’azienda non risultavano più attivi, in carico alle società non risultavano più esserci personale, beni mobili e immobili, e in cassaforte non c’erano soldi. Denaro fatto transitare attraverso operazioni elettroniche, ha cristallizzato l’indagine, sui conti correnti di moglie e figlia di Mauro D’Amico che, a sua volta, assieme a Nicola, ha “smaterializzato” milioni di euro poi in gran parte reinvestiti in attività lecite.

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