Rimini. La memoria di Muccioli vive in un progetto sulla salute

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Ha dedicato allo studio e all’insegnamento gran parte dell’esistenza, recandosi al lavoro fino a qualche ora prima della morte, ora il suo nome resterà per sempre in quelle stanze in cui ha trasmesso a centinaia di giovani la passione per l’apprendimento: domani alle 9 sarà infatti intitolata l’Aula V della sede didattica di Palazzo Corradini del Campus di Ravenna dell’Università di Bologna al professor Federicomaria Muccioli, docente di Storia greca scomparso il 14 maggio 2020 all’età di 54 anni per un melanoma.

«Con la scelta della futura Aula Muccioli si intende mantenere vivo il ricordo di uno studioso e di un docente caro a tutta la comunità universitaria. In questa e altre sedi Muccioli ha svolto per decenni le sue lezioni con passione e straordinaria energia intellettuale, anche nel periodo della malattia, mai chiamata in causa per rallentare o sospendere il lavoro in cui egli credeva» spiega l’Ateneo annunciando l’iniziativa.

Riminese doc, il professor Muccioli ha iniziato la sua carriera nel Liceo classico della sua città, il Giulio Cesare, prima di diventare ricercatore, docente associato e infine professore ordinario appunto a Ravenna e poi a Bologna. Uomo di grandissima cultura, ha affiancato all’insegnamento anche lo studio costante e la realizzazione di diverse pubblicazioni: fra le altre quelle dedicate al territorio come “I misteri di Rimini” per Pontevecchio o alla storia locale quali “Il registro della spia” e “L’eroina di Rimini” per Panozzo Editore. Ma è impossibile non citare “La storia dell’Ellenismo” che è in ogni università italiana. Tutto senza far mai mancare il suo tempo e la sua attenzione a nessuno dei suoi alunni né alla famiglia, come ricorda la moglie Manuela Trentavizi, che ha organizzato insieme ai suoi cari un’iniziativa di prevenzione in collaborazione con il Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’Università di Bologna e l’ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna nel nome del defunto marito.


Partiamo proprio da qui: come si svolgerà e come le è nata l’idea?

«E’ stato sulla porta del cimitero, nel vedere il grande dolore di tantissimi ragazzi, che mi sono chiesta come poter ricambiare il grande affetto per Federico e il primo pensiero è andato alla loro salute. Grazie al progetto che abbiamo chiamato “La Dermatologia incontra la storia”, venerdì 12 novembre 25 ragazzi verranno visitati da due dermatologhe fantastiche del Sant’Orsola di Bologna (in tempi di Covid e con i presìdi sanitari oberati di lavoro non era possibile accoglierne di più) e speriamo di poter compiere questa attività di screening ogni anno anche con numeri maggiori: la prevenzione è infatti fondamentale visto che il melanoma ha grandissima diffusione soprattutto fra i giovani e non ci si rende ancora conto di quanto questa malattia sia subdola e pericolosa. Un vero mostro».

Ne sarebbe felice anche e soprattutto Federico, che aveva con i ragazzi un rapporto speciale.

«Veramente. Ha lavorato per l’università fino a poche ore prima di morire e il giorno prima ha addirittura chiamato i colleghi e il personale per salutare tutti: è stato un esempio di abnegazione e attaccamento incredibile e le tantissime testimonianze degli alunni ci hanno riempito il cuore. Una ragazza è venuta a dirci che le aveva quasi salvato la vita, perché era in un momento difficile, non aveva passato l’esame e si era messa a piangere, ma Federico l’ha inseguita e le ha detto “vada a casa, mi scriva, perché è preparata e mi attiverò per farle ridare l’esame in tempi brevi”. Quello le ha dato la spinta per riprovarci e reagire e ha voluto ringraziarci».

Quanto sono stati terribili gli anni della malattia?

«Il melanoma si è manifestato nel 2014, ma lui l’ha affrontato con grande serenità ed equilibrio, al punto da proseguire nel suo lavoro con grande passione nonostante la grossissima spada di Damocle che aveva sulla testa. Ha continuato a scrivere, pubblicare, a trattare con i suoi studenti con un amore per l’insegnamento che l’ha aiutato ad affrontare la sua vita quotidiana, il lavoro, la famiglia. Nei primi giorni di terapia aveva la febbre altissima, a 41, ma continuava a prendere il treno e andare fra gli alunni. E’ stato incredibile».

Come lo descriverebbe?

«Era un uomo dalla cultura veramente a 360 gradi, con cui si poteva parlare di sport scoprendo che sapeva tutto, di letteratura, di musica classica o moderna. Di ogni cosa. Una persona davvero a tutto tondo, uno sportivo che amava molto il ciclismo e un uomo molto generoso. Basti pensare che è morto dicendomi “non ti fare affossare dal dolore, devi vivere”».

Dopo questa prestigiosa intitolazione ravennate si aspetta qualcosa anche da Rimini, dove Federico è nato e ha sempre vissuto?

«A giugno sono stata ricevuta dall’ex assessore alla cultura Giampiero Piscaglia per un’eventuale commemorazione di uno studioso e scrittore di pubblicazioni di alto livello del suo calibro all’interno di qualche iniziativa riminese, in primis il Festival del Mondo Antico. Non era il periodo giusto con le elezioni di mezzo, ma anche se è vero che nessuno è profeta in patria sarebbe bello che anche la sua città si ricordasse di lui».

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