Rimini, l'editore Luisè e la cultura ebraica da salvare

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La cultura ebraica ha sempre suscitato una straordinaria curiosità, dovuta alla sua intrinseca e feconda vitalità, profondamente radicata da secoli nella nostra società. Ecco quindi che negli anni Ottanta in Emilia-Romagna si sente l’urgenza di censire e salvaguardare i beni culturali ebraici per approfondirne la conoscenza e la conseguente tutela, così l’Istituto dei beni culturali avvia due ricerche parallele, una dedita all’inventariazione dei beni librari conservati nelle biblioteche regionali, portando al censimento di 800 cinquecentine ebraiche.

La seconda ricerca ha posto l’attenzione su ricognizioni culturali più ampie, per offrire una immagine complessiva di ciò che rimane del patrimonio, alla luce dei terribili accadimenti dovuti alle leggi razziali del 1938, alle deportazioni e alle ignominiose ghettizzazioni e devastazioni subite anche nel corso dei secoli.

Il censimento del variegato patrimonio artistico, urbanistico e documentario è confluito nel 1987 in un volume dal titolo Cultura ebraica in Emilia-Romagna, pubblicato dal riminese Giovanni Luisè, un importante inventario della cultura materiale ebraica, ancora oggi di grande interesse, che consta di ben 706 pagine, dotato di schede e di 359 illustrazioni in bianco e nero e 35 a colori.

Le vestigia storiche della vita degli ebrei del nostro territorio risultano scarse per l’alto medioevo, più considerevoli per i secoli successivi. Dal 1600 al 1700 si fa ricchissima di manufatti e reperti urbanistici. Emergono 500 anni di storia fino all’emancipazione avvenuta con l’Unità d’Italia.

Dalle fonti ebraiche indagate e da quelle pubbliche, gli ebrei risultano presenti in 90 località, perlopiù in luoghi di grande traffico commerciale, come nei confini tra Marche e Toscana e in 32 località vivono in un quartiere specifico. Dei 10 ghetti regionali, due sono in Romagna: Lugo e Rimini, ancora oggi rintracciabili.

L’editoria

Per quanto riguarda l’editoria Rimini era tra le tre città di ricca produzione tipografica ebraica, sviluppatasi tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, con la presenza del grande stampatore Soncino . Come è noto, a imporre l’istituzione dei ghetti nei domini della Chiesa fu il pontefice Paolo IV Carafa nel 1555 con la bolla Cum nimis absurdum; a Rimini essi rimasero fino al 12 giugno del 1615, anno in cui furono cacciati dalla città. Il ghetto riminese, come da seduta consiliare, lo si allocò su contrada Sant’Andrea, in un tratto compreso fra la casa di un certo Musetto ebreo e la chiesa di San Girolamo della Scolca (poi Sant’Onofrio). Nel 1557 risultano esserci solo 12 ebrei.

A Ravenna esisteva la giudecca nell’attuale retro di Palazzo Rasponi delle Teste. A Cesena dal 1555 si annovera una giudecca in via delle Pescherie, unico luogo in cui essi potevano vivere, distanti dai cristiani.

A Bagnacavallo, nella antica via Sarzana, oggi Nazario Sauro, esisteva una giudecca, con la presenza di una sinagoga e un rabbino; qui nel 1500 risulta un banco dei pegni. A Faenza dalle cronache cinquecentesche si rintraccia la casa dell’ebreo. Nel 1639 la concentrazione degli ebrei si impose a Lugo, dove in corso Matteotti, l’antico borgo di Codalunga, risulta l’ubicazione dell’antico ghetto ebraico, di cui rimane ben poco a causa dei rimaneggiamenti e delle bombe che nel 1944 distrussero anche la sinagoga collocata al civico 70. Negli anni Cinquanta erano ancora visibili le tipiche case con porte d’ingresso interne tra gli appartamenti, ballatoi e cortili.

Dal bando papale del 1639 si decretava che gli ebrei della legazione potessero risiedere soltanto nei tre ghetti: Ferrara, Lugo e Cento. I lughesi lottarono a lungo per non essere rinchiusi e spesso ebbero la meglio. Il ghetto fu mantenuto fino al 1846.

A oggi i cimiteri risultano vere e proprie fonti documentarie: su 50 in regione, 21 sono ancora esistenti e funzionanti. La lapide più antica della regione si trova a Lugo e risale al 1285. In alcuni paesi i cimiteri sono l’unica testimonianza di comunità ormai estinte.

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