È andato in pensione dopo quasi 42 anni di servizio effettivo nei corpi speciali della Benemerita, il 60enne Luigi Prunella, luogotenente carica speciale, nonché responsabile della sezione polizia giudiziaria carabinieri alla procura di Rimini.
Si definisce figlio d’arte, Prunella, arruolato nel 1981, vista la carriera del padre nell’Arma. Dopo la scuola per sottoufficiali di Firenze, nel 1984 vince il concorso come operatore antidroga. Per lui si aprono le fila dei Road, i reparti operativi anti droga poi sciolti e confluiti tra i nuclei investigativi e i Ros. La carriera è legata a doppio filo anche al nucleo investigativo del comando provinciale di Firenze dove collabora con i magistrati Pierluigi Vigna, secondo procuratore nazionale antimafia e Margherita Cassano, in seguito prima presidente donna della Cassazione.
Prunella, è stato in prima linea nelle operazioni antidroga, in quale ruolo?
«Dal 1984 al 1991 ho effettuato missioni sotto copertura tra Perù, Venezuela, ma anche Colombia e Sudafrica, nonché in tutta Europa collaborando anche con la Dea statunitense (Drug Enforcement Administration) di cui ho seguito i corsi di specializzazione. Impossibile dire quanti quintali di droga abbiamo recuperato o quante centinaia di arresti messo a segno. Il mio nome di battaglia era “Faccia”, perché mi calavo in molteplici ruoli con scioltezza, anzi alla luce del sole. Ero così giovane da ispirare fiducia e nessuno immaginava che fossi un militare. Nel dettaglio, una volta autorizzato l’acquisto di minimi quantitativi di droga, per valutare quanto fosse importante il gruppo di narcotrafficanti nel mirino, la direzione centrale antidroga del ministero ci autorizzava a proseguire la trattativa, simulando di organizzare l’introduzione di carichi di stupefacenti sul territorio nazionale, salvo bloccarli all’ultimo, arrestando i criminali. Tutte operazioni condotte in sinergia con le polizie locali o la Dea».
A parte quelle fisiche, quali doti sono indispensabili in questa carriera?
«Conoscere le lingue straniere, non far trapelare emozioni e saper acquistare credibilità. I criminali ti mettono alla prova, basti pensare alla volta che ci invitarono a giocare al tiro a segno contro le oche del parco. Un’infanzia di strada aiuta a riconoscere la gente, ma soprattutto a cavarsela decidendo in una frazione di secondo».
Qualche stratagemma?
«Una volta abbiamo aperto un’agenzia di finanziamento per copertura. Garantivo che avremmo riciclato i soldi ma in verità arrestammo tutti a stretto giro. Per risolvere un caso irrisolto di omicidio, vestiti come vigili del fuoco, fingemmo invece una perdita di gas in un appartamento, facendo evacuare i residenti, inclusi i loro cani, tutt’altro che mansueti per poi installare microspie».
Quali onorificenze ha ricevuto?
«Quella di Cavaliere, due anni fa, ma anche di vittima del dovere a seguito delle ferite riportate in un’operazione del 1994, coordinata dalla direzione centrale per i servizi antidroga di Roma. Saltò la copertura, il collega che era con me purtroppo non ce l’ha fatta e io ne sono uscito a pezzi».
Rifarebbe tutto?
«Malgrado le difficoltà mi è dispiaciuto tantissimo lasciare. Come tutti quelli che amano il proprio mestiere, penso di non aver lavorato neanche un giorno».
Ci ricorda qualche indagine svolta in Procura?
«Quella conclusa con l’arresto della donna che cercava di ammazzare il compagno somministrandogli piccoli quantitativi di veleno per topi. O l’amministratore di sostegno, poi arrestato, che anziché tutelare il clochard, a cui dei ragazzi avevano dato fuoco, si era comprato un’auto con i soldi dell’amministrazione. E ancora: la persona che aveva aperto una casa famiglia ma anziché aiutare le donne vittime di violenza si intascava i soldi delle sovvenzioni comunali e statali. Oltre al danno la beffa, perché come titolare di un’agenzia investigativa, anche se non le era dovuto, si faceva pagare dalle vittime per le trascrizioni delle intercettazioni dei mariti».
Cosa ha capito dell’animo umano?
«Homo homini lupus, ossia l’uomo è un lupo per i suoi simili, ciononostante esistono persone oneste che possono veramente cambiare le cose ma hanno bisogno di mezzi e di fiducia. Come dico ai 9 “ragazzi” della sezione di polizia giudiziaria: dietro una denuncia c’è una persona ed è essenziale capire che cosa le stia succedendo».
Un carabiniere va mai in pensione?
«In realtà no, come diceva il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Gli alamari ce li hai sulla pelle, non sulla divisa”. L’unico potere vero deve essere quello dello Stato, a cui dobbiamo credere dal giuramento in poi. Tutto è migliorabile, certo, ma bisogna lavorare senza soffocare la propria squadra. Quanto ai miei ragazzi, ero certo che se anche li avessi chiamati alle 3 di notte, ci sarebbero stati tutti».