Rimini, "io, donna alpina rispettata in caserma e alle adunate"

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Ha partecipato a sedici adunate, girato la città col suo cappello con penna nera d’ordinanza in testa. Ed era presente anche alla “Tre giorni” riminese. «È mai mi è capitato di assistere a molestie nei confronti delle donne».

Linda Peli, è una penna nera volontaria di 36 anni («ma per due anni, dal 2005 al 2007, sono stata militare effettiva, nel corpo degli Alpini, prima alla caserma di Ascoli Piceno, poi in quella di Merano»), che, come componente del gruppo Fanfara alpina Tridentina Walter Smussi di Brescia, ha deciso di intervenire, raccontare la sua Adunata riminese, e commentare i fatti relativi alle molestie sulle donne segnalati da centinaia di ragazze al gruppo facebook “Non una di meno Rimini”.

Linda, lei è una alpina, cosa prova nel sentire questi racconti di donne molestate da gruppi di penne nere?

«Sono tornata a casa, a Brescia, lunedì, e solo lì ho saputo, dai media, quanto era accaduto: sono letteralmente caduta dalle nuvole».

Lei, durante la sua permanenza a Rimini, non si è accorta di nulla, non ha sentito niente di quello che era successo?

«Assolutamente no. Ho trascorso i tre giorni di Adunata in compagnia di tre amiche che, insieme a me, hanno voluto raggiungere la Riviera in bicicletta. Abbiamo girato Rimini dal centro storico al mare. Abbiamo vissuto l’Adunata di giorno e di notte. Siamo andate a dormire anche alle 4 del mattino. Abbiamo dormito in branda, nella tenda, insieme ad alpini uomini. Nessuno che ci abbia molestate. E aggiungo, anche quando ero in caserma, durante il militare, ho ricevuto dai miei commilitoni sempre e solo rispetto».

Cosa ha provato quando ha appreso la notizia?

«Stupore e incredulità. Gli alpini hanno un forte senso di rispetto per le donne. Io ne sono la testimonianza, nessuno che mi abbia mai molestata, né infastidita. Nemmeno nei bagordi, perché gli alpini bevono, sì, della grappa e del buon vino, ma ci tengono fortemente a non vìolare quei valori di rispetto e di fratellanza che sono insiti in noi. Ci tengo, quindi, a dire che le ragazze vittime di questo cat-calling hanno fatto bene a denunciare. Io sono solidale con loro. Così come lo sono tutti gli alpini. Per colpa di pochi, però, non si può buttare la colpa addosso ad una comunità intera, la nostra appunto. Anzi, dirò di più. Questa brutta storia potrà servirci per il futuro, affinché questi fatti non accadano più. E sono sicura che i colpevoli saranno espulsi dai gruppi di appartenenza. Guardate, nella mia vita mi hanno dedicato serenate e poesie. Non coetanei però. Ma alpini, anche in là con gli anni. Perché è questo il loro modo di esternare affetto e rispetto».

Linda cosa significa essere alpini oggi?

«Significa condividere gli stessi valori, quelli dell’accoglienza e della solidarietà. Ad ogni emergenza, alluvioni, terremoti, sapete chi sono i primi ad intervenire, a prestare soccorso alle popolazioni colpite? Sono gli alpini. Siamo sempre noi i primi ad arrivare».

A Rimini l’Adunata ha portato 450 mila persone: tutti alpini?

«Le nostre adunate sono così. Arriva sempre una marea di gente. La maggior parte sono appartenenti ai gruppi. Ma ci sono anche tanti curiosi. Che magari li vedi anche col cappello con la penna, ma quello non originale, che solo noi sappiamo distinguere. E approfitto col dire, che sarebbe ora di eliminare dall’Adunata quelle bancarelle che vendono il nostro cappello. Perché poi, in casi come questo, uno non riesce a distinguere davvero chi è stato, dov’è la reale responsabilità. Perché la gente comune, vede un cappello con la penna e, giustamente, lo accumuna all’alpino. Ma magari alpino non è. E’ solo uno che quel cappello lo ha acquistato all’angolo».

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