Rimini, il ristoratore: "Marciapiede stretto e niente tavoli, così perdo 50mila euro"

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«A fine stagione avremo una perdita di 50mila euro. Abbiamo già dovuto ridurre il personale di una cameriera. E tutto questo perché il Comune non ci permette più di posizionare i tavoli all’aperto, sul tratto di marciapiede, come abbiamo sempre fatto». Tono concitato, Leonardo di Giuseppe, gestore, col socio Gianfranco Lilliu, del ristorante Adriatico 2.0, in viale Porto Palos a Viserbella, «dopo le tante non risposte ricevute dagli uffici competenti», passa alla protesta. Forte. Eclatante: «Denuncerò i responsabili di questa situazione - annuncia -. A giorni presenterò un esposto in Procura, col quale chiederò il risarcimento del danno, il risarcimento del mancato incasso». L’accusa del ristoratore è rivolta «a chi non ci permette di lavorare come abbiamo fatto fino allo scorso anno, quando ancora il Parco del mare non era stato realizzato e potevamo disporre dello spazio esterno».

“Non sto zitto”

Secondo Di Giuseppe, infatti, tutto è iniziato col nuovo lungomare. Precisamente col nuovo marciapiede lato-monte. «Proprio così - spiega -. Marciapiede che, dei due metri di larghezza previsti, è diventato di 1,80. Venti centimetri in meno che, da norme in vigore, vietano, di fatto, così ci è stato spiegato, il posizionamento all’aperto di una decina di tavoli, poiché impedirebbero il passaggio dei pedoni. Ma noi cosa c’entriamo? Perché dobbiamo pagare una situazione che non abbiamo creato, anzi che ci siamo ritrovati addosso? Sarebbe questo il modo di aiutare le imprese ad andare avanti?». Domande che l’esercente da tempo rivolge a Palazzo Garampi. Invano. «Abbiamo chiesto spiegazioni, chiamato gli uffici competenti, inviato messaggi, mail, pec - sottolinea -, ma nessuno ci ha dato una risposta. Adesso, però, siamo stanchi, così non possiamo andare più avanti. La stagione estiva è entrata nel vivo e quella decina di tavoli per noi sono ossigeno, soldi, qualcosa come 50mila euro sicuri da qui a settembre. Una quarantina, cinquantina di clienti in meno non sono pochi a fine giornata. Tra l’altro, i turisti hanno già iniziato a chiederci di poter mangiare fuori, come avviene in altri ristoranti».

“La storia siamo noi”

Va detto che Adriatico 2.0 ha ottenuto il riconoscimento di “bottega storica”, «è qui dal 1946 - precisa il gestore - e i nostri piatti sono ormai una tradizione», per la cui sistemazione i due proprietari hanno investito dei bei soldini. «Per ammodernare il locale abbiamo acceso un mutuo di 200mila euro. Qualcuno, ora, ci spieghi come dobbiamo fare per pagare le rate, visto che non potremo più disporre di quell’entrata garantita. Mentre, nel frattempo, l’affitto, le spese, lo stipendio dei dipendenti, non parliamo poi delle bollette, dobbiamo continuare a pagarli. Ci dobbiamo mettere nelle mani degli strozzini?». Ma ci sarebbe un aspetto normativo che, secondo il gestore, potrebbe cambiare le cose, modificare la situazione, assicurare una via d’uscita. «E che non abbiamo voluto sfruttare per il rispetto che abbiamo delle leggi - commenta Di Giuseppe -. Parlo del tacito assenso previsto dal Regolamento comunale, articolo 44, che dice così: se entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta di occupazione suolo pubblico, al richiedente non dovesse pervenire alcuna comunicazione, il silenzio deve essere interpretato come un assenso all’occupazione. Noi la domanda l’abbiamo presentata, in Comune, il 29 marzo scorso. Altro che sessanta giorni». Inevitabile, a questo punto, una richiesta. «Non sappiamo davvero più cosa fare, chi chiamare, a chi rivolgerci - chiosa il ristoratore -. Come ultima istanza non ci resta altro da fare che presentare un esposto. Almeno, ci sia concessa la possibilità, se non di giorno, di posizionare i tavoli all’aperto la sera, quando il lungomare diventa isola pedonale».

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