Rimini, il fiasco della «grande impresa sportiva e scientifica»

Rimini

1910. È da poco cominciata l’era dell’aviazione. In cielo si va con i palloni aerostatici e da qualche anno anche con i mezzi «più pesanti dell’aria» (così vengono chiamati gli aerei). Nonostante i progressi dell’aeroplano, il pallone – composto da un involucro contenente un gas «più leggero dell’aria» che ne assicura la sostentazione – continua ad essere l’aeromobile più diffuso e sotto certi aspetti anche il meno pericoloso.
Tra i più noti e ardimentosi “pallonari” si distingue Erminio Donner Flori, un milanese che ha all’attivo oltre 70 ascensioni. L’aeronauta, sempre a caccia di record, si è messo in testa di attraversare l’Adriatico con Cirio, il suo pallone dalla capacità di oltre 1500 metri cubi di gas. Per questa prova, mai compiuta da essere umano, il coraggioso Erminio ha scelto Rimini come punto di partenza.
L’impresa non ha solo interessi sportivi. La stampa e i manifesti affissi per la città parlano di «intenti scientifici». Per la traversata si è scomodato persino il ministero della Marina, che ha messo a disposizione del progetto una torpediniera come scorta lungo l’Adriatico.


L’avvenimento è di portata mondiale e non a caso è stato scelto, quale luogo della manifestazione, la più sofisticata cittadina balneare del momento, meta turistica europea. Assistere all’«audace spettacolo sportivo-scientifico» nel piazzale a mare dello Stabilimento costa 40 centesimi; chi però non ama mescolarsi tra la “plebe”, preferendo starsene appartato e comodamente seduto nelle poltrone delle “babilonesi” terrazze del Kursaal, ne deve sborsare 80. Il ricavato, tolte le spese vive dell’intero piano operativo, va a beneficio delle associazioni Opere pie riunite, Infanzia abbandonata e Ricovero reduci. Purtroppo protagonista dell’ascensione aeronautica sarà la scalogna e l’iniziativa verrà ricordata come uno dei più clamorosi fiaschi della storia avventurosa del palloni aerostatici.
Ma andiamo con ordine e raccontiamo i fatti come ci vengono esposti dai periodici dell’epoca. La traversata dell’Adriatico, in programma per giovedì primo settembre deve essere rimandata: nella notte di mercoledì un temporale di notevole violenza danneggia Cirio, già apparecchiato per il volo nei pressi dell’Idroterapico. Riparati i guasti, il via è fissato per domenica 4 settembre alle ore sedici. Quel pomeriggio festivo le condizioni atmosferiche sono ottime: il cielo è sereno e spira un «leggero e tepido scirocco». Numerosi sono gli spettatori accorsi per il «memorabile avvenimento»; molti hanno il binocolo. Al largo attende la torpediniera.
Presenti all’avvenimento vari reporter di giornali nazionali; c’è anche il fotografo de Il Secolo con tutto l’armamentario predisposto per gli scatti. Nel belvedere dello Stabilimento, gremiti i posti riservati e quelli di «prim’ordine». Tante le scappellature, gli inchini e i baciamani. Le autorità si scambiano cenni di saluto e ampi e soddisfatti sorrisi. C’è aria di applausi, insomma. Ma prima ancora dei discorsi ufficiali, che anticipano la fatidica partenza, accade l’imprevedibile. Il pallone, piazzato sconsideratamente tra quattro pali della luce elettrica, sospinto dal vento si stacca da terra all’improvviso in direzione dei fili. Il contatto provoca un corto circuito con «scoppio e scintille». Il Momento del 7 settembre 1910 scrive: «Alla vista dei lampi il pubblico si spaventò e colto dal panico fuggì per ogni parte riversandosi specialmente nelle sale del Kursaal».
L’incendio dei cavi elettrici procura al pallone un largo foro dal quale fuoriesce il gas e così l’aerostato – annota il cronista – «perdendo l’elemento della sua forza» si sgonfia e si piega su se stesso «proprio come un vanitoso colpito dall’irrisione e dal ridicolo».
La gente, superata la paura e l’imbarazzo, protesta. Qualcuno pretende, e ottiene, la restituzione dei soldi. Alla beneficenza – scrive L’Ausa il 10 settembre 1910 –, tolte le spese per «fornitura di 2800 metri cubi di gas, affissioni e reclame, trasporti da Milano, personale al seguito, sorveglianza, licenza e diritti diversi», rimangono solo gli spiccioli: 130 lire. Poche davvero! Donner Flori, dispiaciuto per l’insuccesso, aggiunge di sua tasca 320 lire. Un gesto «riparatore» che sigilla il fallimento della «grande impresa sportiva e scientifica».

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