Rimini. "I pazienti oncologici a rischio come tutti"

Rimini

«Buona parte dei pazienti affetti da patologie oncologiche ha avuto un decorso della malattia da Covid-19 asintomatico o con sintomatologia lieve. Il contagio, però, viene vissuto con maggior paura e preoccupazione». A parlare è Davide Tassinari, direttore del reparto di Oncologia e Oncoematologia dell’ospedale Infermi, chiamato a spiegare se il cancro rappresenta un fattore determinante nell’aggravamento dell’infezione causata dal nuovo coronavirus. In base alle evidenze riscontrate finora, Tassinari dichiara infatti che più che la singola patologia, a incidere sulla severità con cui si manifesta la malattia infettiva è la presenza di «altre patologie, come l’ipertensione, il diabete, l’obesità o patologie cardiovascolari». «Si tratta di condizioni multiple che si sommano, - sottolinea però Tassinari, - il quadro clinico di ogni paziente va infatti valutato singolarmente, prestando molta attenzione. Di certo, il malato oncologico che contrae il Covid viene attenzionato in modo particolare dal medico, in quanto considerato paziente fragile, ad alto rischio».

Simile rappresentazione della compresenza di cancro e Covid- 19 si individua nello studio condotto a Reggio Emilia dalla struttura complessa di Oncologia dell’Ausl Irccs in collaborazione col servizio di Epidemiologia, pubblicato sulla rivista scientifica “Biology”. Nello studio, (come riportato dal Sole 24ore), si rileva infatti che i rischi di ricovero in terapia intensiva e di morte causa Covid per pazienti oncologici e non «sono risultati simili, rispettivamente pari a 10,1% contro il 6,7% e del 34,1% contro il 26,0%». Inoltre, allo stesso modo in cui evidenziato da Tassinari, lo studio mette in risalto il fatto che «non è la malattia oncologica attiva che rende i pazienti più fragili di fronte al virus, quanto piuttosto le eventuali comorbidità ovvero la compresenza di patologie e l’età avanzata».

Più attenti, meno contagi

Un’influenza diretta del cancro sul Covid-19, secondo Tassinari, si individua invece nella «più alta preoccupazione da parte dei malati e dei relativi familiari, che si traduce anche in maggior precauzione, in comportamenti più accorti, che li hanno quindi protetti dall’infezione». Allo stesso modo, però, in caso di avvenuto contagio, «o di sintomi sospetti», da parte di malati oncologici o loro familiari, «abbiamo notato un impatto psicologico più pesante - chiarisce Tassinari - più paura e più preoccupazione che negli altri casi». «Nonostante questo, però - puntualizza - nella maggior parte delle volte è stato possibile curare i malati al domicilio, mantenendo una costante osservazione del paziente, sia da parte dei medici specialisti che dei medici di medicina generale, con i quali, con la pandemia, si è instaurata una proficua collaborazione, che credo ne uscirà rafforzata, anche dopo l’emergenza».

Prevenzione continua

Una “spinta” in più è stata necessaria invece all’inizio della pandemia per portare i pazienti in ospedale a fare le visite in ambulatorio. «Abbiamo messo in atto una forte presa in carico dei pazienti, decidendo, anche insieme al medico di base, se la visita poteva essere rimandata o fatta telefonicamente, oppure, al contrario prenotandola noi e creando degli appositi percorsi “puliti”». «Inizialmente erano terrorizzati, - ricorda - ma così facendo siamo riusciti a superare le resistenze e fare tutte le visite necessarie».

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