Rimini. Frode fiscale, sigilli a tre notissimi bar

Rimini

Tre locali “storici” della provincia di Rimini sono stati sequestrati preventivamente dalla Guardia di finanza, assieme ai conti correnti dei principali indagati, per l’equivalente di una presunta evasione fiscale stimata in almeno un milione e trecentomila euro. Nel mirino dell’ordinanza emessa dal Gip del tribunale di Rimini Manuel Bianchi su richiesta del pubblico ministero Luca Bertuzzi, sono finiti il Bar Bigno e il bar Ottoemezzo a Rimini e l’Autobar a Santarcangelo, gestiti da società riconducibili alla famiglia Lunedei. Imprenditori attivi nei settori della ristorazione, gestione di slot machine, tabaccherie e nell’affitto di immobili turistici.

Contestualmente all’apposizione dei sigilli il giudice ha previsto l’immediato affidamento delle tre attività a un amministratore giudiziario, Umberto Maria Ferraiolo, allo scopo di garantire i dipendenti e la continuità aziendale. È la ragione per la quale “Ottoemezzo”, davanti alla stazione ferroviaria, ha quindi potuto già riaprire al pubblico sotto l’egida del tribunale, mentre gli altri locali lo faranno il prima possibile, una volta effettuate le opportune verifiche.

L’ordinanza ha disposto anche l’applicazione della misura cautelare del “divieto di esercizio dell’attività imprenditoriale” nei confronti di tre dei nove indagati, accusati di evasione fiscale. Si tratta di Stefano Lunedei, 61 anni, di Santarcangelo di Romagna, del figlio Andrea Lunedei, 27 anni, e di Roberto Mugnai, 63 anni (difesi dall’avvocato Cristiana Ramadori).

Tra settembre 2015 e febbraio 2017, in concorso con altri, avrebbero partecipato a una remunerativa frode fiscale. Alla base, secondo le indagini del Nucleo di polizia economico-finanziaria guidato dal colonnello Michele Ciarla (coordinato dal sostituto procuratore Luca Bertuzzi) c’era un ingegnoso meccanismo.

Lo schema prevedeva di gestire le attività più redditizie, compresi i bar aperti 24 ore su 24, senza preoccuparsi del Fisco: niente dichiarazioni dei redditi e false fatturazioni per abbattere l’imponibile.

A un certo punto le società in questione venivano “svuotate” di ogni asset aziendale a favore di altre società (sempre riconducibili tramite interposta persona ai medesimi attori della frode) e cedute a nullatenenti in modo da rendere inefficaci le eventuali procedure di riscossione coattiva da parte dell’Erario.

Qualche tempo dopo, quindi, gli stessi imprenditori riacquistavano dai prestanome la proprietà delle quote sociali delle società neocostituite, reimpossessandosi di fatto delle proprie attività commerciali non più gravate da debiti d’imposta.

L’operazione “Paper moon” come è stata battezzata dagli investigatori è si è sviluppata a partire da una banale verifica sulle emissioni di scontrini. Nell’ambito degli accertamenti del Nucleo di polizia economico-finanziaria, in collaborazione con il Gruppo del comando provinciale, sono stati anche individuati 81 lavoratori risultati irregolari: sedici dei quali completamente “in nero”, altri pagati con somme “fuori busta”.

I datori di lavoro sono stati segnalati anche all’Ispettorato del lavoro (le sanzioni amministrative vanno da 58mila a 116mila euro).

Nel computo del sequestro per equivalente i tre bar (licenza, avviamento, merci, attrezzature e arrendamento) sono stati valutati circa 935mila euro. All’appello mancano altri 400mila euro, da recuperare per lo più nei conti correnti della famiglia di imprenditori.

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