Rimini. Ergastolo confermato con la testimonianza di una morta

RIMINI. In caso di impossibilità ad avere una dichiarazione decisiva per ribaltare un’assoluzione in condanna a causa della morte di chi l’ha in precedenza resa, è comunque possibile confermare la condanna acquisendo le dichiarazioni accusatorie da confrontare con altri riscontri per la conferma. Questa, in estrema sintesi, la motivazione con cui la Corte di Cassazione a sezioni penali riunite, ha confermato la condanna all’ergastolo con sei mesi di isolamento diurno del pescatore Sadik Dine riconosciuto colpevole dell’omicidio di Silvio Mannina trucidato nell’appartamento dell’albanese il 28 febbraio del 2014 dopo che era stato costretto ad attirare in trappola la sua compagna Silvia Nusdorfi che sarebbe stata assassinata il giorno dopo alla stazione ferroviaria di Mozzate dall’ex Dritan Demiraj. Contro la sentenza della Corte d’assise d’appello di Bologna aveva presentato ricorso l’avvocato Massimiliano Orrù. Nelle motivazioni il legale sosteneva, tra l’altro, l’illegittimità della condanna che aveva ribaltato l’assoluzione di primo grado. Sentenza avvenuta sulla base delle rilettura delle dichiarazioni rese da Monica Sanchi all’epoca fidanzata di Demjrai. Dichiarazioni che in appello non aveva più potuto ripetere perché a sua volta uccisa da un male incurabile. Per l’avvocato Orrù così facendo era stato violato quanto sancito dalle sezioni unite della Suprema corte con la sentenza “Dasgupta”, e cioè che l’impossibilità di poter risentire la coimputata avrebbe dovuto condurre al proscioglimento del pescatore.

La Cassazione

L’articolo 603 comma 3-bis del codice di procedura penale, scrivono invece i giudici con l’ermellino, stabilisce che «nell’impossibilità oggettiva di dar luogo alla rinnovazione istruttoria, il ribaltamento dell’esito assolutorio può avvenire, ma solo in presenza di idonee e rafforzate garanzie procedurali». Opera di «riqualificazione del quadro probatorio» da fare con la ricerca e la verifica degli «elementi di riscontro in grado di corroborare la prova dichiarativa non “ripetibile” per ragioni oggettive» in questo caso la morte di Monica Sanchi. Ed è proprio quello che hanno fatto i giudici del secondo processo concluso con l’ergastolo bis con la scrupolosa verifica di tutte le dichiarazioni rese in fase di indagine e processuali dalla donna.

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