Rimini e il campo nomadi: la via d'uscita non si vede

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Un argomento spinoso, non facile da affrontare. Una questione delicata che, tra motivi di ordine pubblico, tematiche sociali, pulsioni razziste, e posizioni demagogiche, riaffiora, periodicamente, alla superficie, per poi, regolarmente, riaffondare. Lasciando il fuoco bruciare sotto la brace. Accade così da almeno un decennio. Basta un minino, una scintilla, ed è subito incendio. Per questo il vescovo Francesco Lambiasi, nel suo intervento di ringraziamento alla cittadinanza onoraria che il Consiglio comunale gli ha conferito, giovedì, questa problematica l’ha voluta rilanciare. Con forza. Affinché la politica riminese (maggioranza e opposizione) si siedano su un tavolo e trovino, finalmente, la soluzione definitiva. Stiamo parlando del Campo nomadi di via Islanda. La patata bollente di ogni amministrazione comunale succedutasi in tutti questi anni.

Vergogna da rimuovere

«Sogno una Rimini che rimuova la vergogna di un campo nomadi abusivo», la ferma dichiarazione del presule. Commenta il sindaco Jamil Sadegholvaad: «È un tema generale, non solo italiano, quello del campo nomadi, che comunque, nell’arco del mandato, cercheremo di risolvere con pragmatismo e non con l’irrigidimento ideologico da qualsiasi parte provenga». Nessuna proposta concreta, dunque, ma una semplice dichiarazione d’intenti che, tuttavia, sembra suonare come una presa d’atto propedeutica ad una volontà ad agire. Aggiunge il sindaco: «Una situazione di degrado che però, come abbiamo avuto modo di sperimentare con mano, è anche una delicata situazione di relazione con la città. E questo è esemplificato perfettamente anche dalle reazioni che ci furono quando, nel 2016, l’amministrazione comunale propose il progetto regionale delle microaree: tutti furono concordi nella necessità di risolvere il problema, purché la soluzione non si traducesse nel posizionamento di una microarea nella loro zona di residenza o interesse». Chiosa, quindi, Sadegholvaad: «Per quanto mi riguarda dico subito che la soluzione non è, e non potrà essere, la microarea diffusa: questa si è rivelata un fallimento».

Lisi: «Il Pd mi ostacolò»

Immediata la replica della consigliera d’opposizione di centrosinistra, Gloria Lisi, già vice sindaca nella giunta Gnassi e promotrice, all’epoca, del progetto delle microaree: «Provai ad individuare una soluzione, proponendo al gruppo Pd diversi progetti che andavano dall’edilizia convenzionata, alle abitazioni d’emergenza abitativa prese in affitto dal mercato privato, fino alla proposta delle microaree. Sapete quali furono le risposte? Portaci in maggioranza uno studio approfondito, ben pianificato. Evidente che volessero logorarmi, stancarmi. E, infatti, nessun progetto venne considerato e nessuna soluzione adottata. Ad ogni vertice di maggioranza usciva fuori la storiella che quel progetto, qualunque fosse, non sarebbe stato approvato in Consiglio, che non aveva i numeri per passare».

Ma se nel centrosinistra regna, per ora, l’incertezza. A destra, invece, le idee sembrano più chiare. Con tanto di soluzione pronta. Spiega Lorena Marchei, consigliere comunale della Lega: «Il progetto è lo stesso adottato, a Ferrara, dal sindaco della Lega, Alan Fabbri. Ovvero l’housing sociale, affiancato da un processo di responsabilizzazione del nomade, affinché provveda a regolarizzare la posizione scolastica del figlio, si integri col vicinato, contribuisca regolarmente alle spese, sulla scorta, naturalmente, di un lavoro che, in questo caso, l’amministrazione dovrà aiutare a trovarsi». E il capogruppo del Carroccio Luca De Sio conclude: «Il tema di fondo, politico e sociale, è come si guarda al problema. E, soprattutto, se questi nomadi hanno la voglia di integrarsi nel tessuto cittadino. Perché una Rimini solidale, di cui ha parlato il vescovo, non può prescindere da una reale integrazione dell’individuo, sinti o rom che sia».

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