Rimini. Dal rischio di emarginazione alle vigne, ecco il vino"Most"

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«Molto più di ciò che appare». Ecco il vino che profuma di solidarietà. Grazie a un codice Qr ogni bottiglia racconta la storia di uno dei vignaioli che si è preso cura dei filari e della terra che li accoglie. Protagoniste della nuova avventura sono infatti i sorrisi e le mani instancabili degli ospiti che frequentano le realtà educative della cooperativa sociale La Fraternità. Nel vino scorrono le loro storie, la fatica, ma anche uno sconfinato entusiasmo. C’è chi sogna il principe azzurro, «per cui se passate dalle vigne su un cavallo bianco vi noterà», c’è chi invece ripete le cose lentamente e non manca chi sa tutto di Harry Potter. A raccontarci la progettazione di agricoltura sociale è Filippo Borghesi tra i referenti che hanno sviluppato l’idea.

Borghesi, come è nato questo progetto?

«La famiglia Brigliadori ha messo a disposizione della cooperativa un vigneto che coltivava da due generazioni. I filari del Most si snodano sulle colline di Borghi, nella frazione di Tribola, a una manciata di chilometri da Santarcangelo. Abbiamo cominciato per hobby, poi è nata un’idea di più ampio respiro, appoggiata dai Brigliadori, lieti che un terreno così caro per loro si trasformasse in un luogo in cui oltre al buon vino si creassero opportunità di benessere per chi ha più difficoltà».

Cosa significa “most”?

«In dialetto romagnolo il “most” è il mosto. In particolare a Santarcangelo c’è un proverbio che dice che durante la festa di San Martino, il santo protettore dei vignaioli, “ogni mosto diventa vino”. L’11 novembre coincide in effetti con un primo bilancio del raccolto. E non è tutto. “Most” in inglese vale come superlativo, ma ha senso solo se appoggiato a qualcos’altro: perché tutto sia intensificato al massimo occorre una relazione tra i bisogni e le risorse del terreno, come tra chi la coltiva».

Chi sono i vignaioli?

«Trenta persone dai 20 ai 60 anni, tutti ospiti dei centri diurni e socio-occupazionali della cooperativa La Fraternità, fondata 30 anni fa a Rimini. Una squadra in cui i compiti sono molto vari. Tutti fanno davvero un po’ tutto, dalla potatura alla vendemmia, compreso legare i tralci per far crescere la pianta protetta dal vento, passando per la raccolta di rami che restano a terra lungo i filari. L’idea di fondo è curare anche il terreno circostante. Una dimensione adatta ai ritmi di ciascuno, ma anche un’attività all’aria aperta in grandi spazi che in pandemia ha permesso di restare attivi e socializzare».

Perché ogni bottiglia ha un codice Qr e la foto di un vignaiolo?

«L’accento della progettazione cade sul vignaiolo. Ma dietro al ruolo c’è una persona e se vuoi puoi conoscerla. Come a dire: "Ci mettiamo la faccia, ci siamo presi cura di queste piante e ora sulle vostre tavole arriva il frutto del nostro lavoro"». Chi volesse incrociare calici traboccanti di emozioni, può inviare una mail a: info@ilmost.com e acquistare una bottiglia.

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