Rimini. “Così aiutiamo le imprese ad avere successo negli Usa”

«Dal 2009 portiamo le aziende della Romagna negli Stati Uniti. E le aiutiamo ad esportare lì i loro prodotti». La ExportUSA, società di consulenza con sede a Rimini in via Mentana, New York e Bruxelles, operativa da 14 anni, è una di quelle realtà economiche poco conosciute al grande pubblico, ma che le imprese della capitale italiana del turismo utilizzano da anni per il loro business oltreoceano.

L’azienda, presieduta da Lucio Miranda, comasco con studi alla Bocconi e master alla New York University, che l’ha fondata insieme alla socia Muriel Nussbaumer, bolzanina, trapiantata da bambina a Rimini, è cresciuta anno dopo anno, fino a far registrare nel proprio portafoglio clienti almeno una dozzina di grandi nomi dell’industria romagnola e italiana.

Miranda, da Rimini a New York, un bel volo: com’è nata questa passione per il mercato economico Usa?

«È nata dopo gli studi post laurea alla New York University. Così, terminate le mie esperienze professionali, in giro per il mondo da Roma a Parigi, da Tokyo a Seul fino a Rio de Janeiro, ho deciso mettermi in proprio. E l’unica città che mi dava garanzia di successo non poteva che essere New York. Poi, con l’arrivo di Muriel, la socia riminese, abbiamo deciso, di comune accordo, di aprire la sede italiana a Rimini, città strategica. Per posizione: è baricentrica tra Roma e Milano. È dinamica da un punto di vista economico. È in Emilia Romagna, la regione italiana con l’export più alto e, poi, è anche vicina a Lombardia, Veneto e Marche, le tre regioni con un tessuto di piccole medie imprese tra i più sviluppati d’Italia».

In cosa consiste il vostro lavoro?

«Aiutiamo le aziende italiane ad approdare in America. Offriamo loro servizi: la lista è lunga e va dalle ricerche di mercato ai trasporti, dallo sdoganamento delle merci alla costituzione di società negli Stati Uniti, fino alla contabilità e alla dichiarazione dei redditi, negli Usa ovviamente, per concludere con la ricerca di personale e l’ottenimento dei visti necessari. Insomma le prediamo per mano e le guidiamo fino al loro definitivo inserimento sul mercato».

Da quando siete operativi negli Stati Uniti e quante sedi avete?

«Dal 2003, ma con l’arrivo di Muriel, nel 2009, ci siamo definitivamente allargati. Abbiamo sede a Rimini, in via Mentana, New York e Bruxelles, dove collaboriamo con le istituzioni europee su temi e normative economiche con l’America. E un centro logistico a Dayton in Ohio».

Quanti dipendenti avete?

«Dal 2009 al 2011, con la grande recessione mondiale provocata dal fallimento di Lehman Brothers, la situazione economico-finanziaria subì un vero e proprio crollo. Una paralisi. Furono anni davvero complicati per tutti i settori dell’economia statunitense e mondiale. Dal 2012 poi, pian pianino con la ripresa la situazione è tornata alla normalità un po’ ovunque. Per rifermarsi, ma decisamente meno, col covid, negli anni 2020 e 2021. Comunque, ad oggi, abbiamo 21 dipendenti: 10 a Rimini, altrettanti a New York, e uno a Bruxelles».

Quali aziende romagnole hanno chiesto la vostra consulenza?

«Le aziende romagnole più note con le quali abbiamo lavorato, con buoni risultati sono Mec3, Mixer, Valpharma e Erbavita, Atlanta stretch e Celli group».

Quali sono, invece, altre aziende italiane che hanno chiesto il vostro aiuto per entrare sul mercato americano?

«Coop, Granarolo, Cesi, Elettromar e poi Pa spa e Simol di Reggio Emila, e Molitecnica di Bologna».

Meglio l’East Coast o la West Coast: che consigli dareste oggi a dei potenziali clienti?

«Dipende dal prodotto. Se commerci in costumi da bagno non puoi certo andare negli Stati interni, meglio la West Coast, la California quindi, ma anche la Florida. Se, invece, produci macchinari industriali gli Stati dell’interno sono i più indicati perché è lì che la presenza delle fabbriche è più forte. Se mi occupo di oil&gas non posso che optare per il Texas, stato principe per giacimenti petroliferi».

Pensate di allargare il vostro raggio di azione anche su altri mercati, oltre quello statunitense?

«Assolutamente no. Per lavorare con professionalità negli Stati Uniti ci vuole un dispendio di energie e così tante conoscenze settoriali che sarebbe impensabile solo immaginare di espandersi altrove».

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