Rimini, coop sociali: la protesta dei lavoratori: "Contratto scaduto dal 2016"

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«Il loro stipendio è fermo a 1250 euro netti al mese, orario notturno e festivo compreso. E nonostante questo i datori di lavoro non intendono rinnovare il contratto territoriale, scaduto dal 2016». È la denuncia di Eugenio Pari, rappresentante sindacale Cgil, dopo il presidio di protesta promosso, ieri, presso le sedi delle Centrali cooperative: Confcooperative, Legacoop, Agci, da una cinquantina di lavoratrici e lavoratori delle cooperative sociali del Riminese, iscritti a Cgil, Cisl e Uil: una cinquantina di dipendenti, liberi dal turno.

Appello alla Prefettura

Spiega Pari: «La pazienza è finita. Già lo scorso novembre avevamo annunciato un presidio, poi annullato in attesa di un segnale positivo. Mai arrivato, purtroppo. Così, dopo la manifestazione di oggi (ieri, ndr), anche questa priva di risultati, non ci resta altro che chiedere l’intervento della Prefettura per l’apertura di un tavolo di confronto tra le centrali cooperative e i sindacati. Altrimenti ci vedremo costretti ad attuare forme di protesta più incisive. Non dimentichiamo che, secondo la banca dati della Regione Emilia-Romagna, ci troviamo davanti a una realtà che, per Rimini e provincia, parla di circa 1500 lavoratori impiegati in 50 cooperative sociali».

Il confronto col pubblico

Sottolineano, quindi, Cgil-Cisl-Uil: «Ricordiamo che sulle spalle di questi lavoratori grava l’erogazione di servizi socio-assistenziali, socio-sanitari, di sostegno scolastico e dell’igiene ambientale. Tutti garantiti nonostante mille difficoltà e rivendicazioni che riguardano, in particolare, il rimborso chilometrico, il premio territoriale di risultato, gli inquadramenti professionali, la conciliazione fra tempi di vita privata e tempi di lavoro, la salute e la sicurezza». Rilancia Pari: «Siamo arrivati al punto che sempre più lavoratori del settore privato delle cooperative sociali preferiscono lasciare l’impiego a tempo indeterminato per accettare un’assunzione precaria nel pubblico, anche di sei mesi, con la speranza che diventi nel tempo definitiva. E questo pur di trovare situazioni lavorative più appropriate alla loro professionalità e uno stipendio migliore; che nel pubblico si aggira, di base, sui 1400-1500 euro al mese». Ricordano, ancora, i sindacati: «Il riconoscimento della dignità del lavoro e dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori è una condizione indispensabile per garantire maggiore qualità dei servizi erogati, che nel caso specifico sono rivolti alle persone più fragili e alla collettività». Quindi la bacchettata: «Le Centrali cooperative che solo a parole richiedono collaborazione e confronto – stigmatizzano Cgil, Cisl e Uil –, di fatto, per respingere quelle che sono legittime richieste, ripropongono generiche scusanti, legate alle criticità del momento. Motivazioni inaccettabili tanto più che il contratto è scaduto ben prima dell’aumento dei costi di carburanti ed energia e della pandemia e che la giunta regionale, per far fronte all’aumento dei costi energetici e per gli acquisti dei dispositivi durante la pandemia, ha stanziato dei ristori a favore dei soggetti gestori. Invece, le Cooperative sociali non hanno riconosciuto nulla alle lavoratrici e ai lavoratori». Chiosa, allora, Pari: «La dimostrazione dell’attaccamento al lavoro di questi dipendenti e il senso di responsabilità che li guida nella gestione delle fragilità e delle sofferenze è emerso proprio nel periodo peggiore del covid, quando, a loro spese, molti hanno affittato degli appartamenti per poter, comunque, continuare a prestare servizio, ad esempio nelle residenze sanitarie assistite, a forte rischio contagio, senza mettere in pericolo oltre alla propria famiglia, anche gli stessi ospiti delle strutture, da eventuali infezioni».

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