Rimini, colpo di scena al processo Aeradria «La firma sulla lettera è falsa»

Rimini

RIMINI. Una delle sei lettere di “patronage”, tra le più controverse, alla base dell’accusa di ricorso abusivo al credito non è di Stefano Vitali. L’ex presidente della Provincia di Rimini ne ha disconosciuto la firma in aula nel corso dell’esame davanti al Tribunale. Un colpo di scena inatteso, di rilievo dal punto di vista probatorio, arrivato a distanza di anni dallo scoppio dell’inchiesta, sebbene quella di ieri sia stata la prima occasione processuale per fare rilevare l’incongruenza. «Non è la mia firma», ha assicurato Vitali riferendosi alla missiva regolarmente protocollata e controfirmata.

Vitali ha fatto notare anche come una seconda lettera che gli viene attribuita non sia in realtà riconducibile a lui in quanto la sigla apposta in calce è probabilmente quella di un dirigente. E in ogni caso, a suo dire, erano proprio gli uffici tecnici a predisporre tecnicamente quel tipo di documenti che si limitava ad approvare in virtù del suo ruolo di indirizzo politico. Nel merito ha fornito delle spiegazioni rispetto alle quattro lettere di “garanzia” finite nel mirino della procura, difendendo il suo operato e sottolineando come, per la loro stessa formulazione, non impegnavano l’ente da un punto di vista giuridico. Sulla base di quelle, e delle altre firmate dagli altri soci pubblici, la banca però aveva stanziato i soldi. L’istituto di credito avrebbe potuto non fidarsi delle istituzioni? Un argomento che è stato fonte di contestazione dal parte del pm Luca Bertuzzi.

Per l’accusa, infatti, la “garanzia” delle lettere di “patronage” degli amministratori in assenza delle relative delibere (per poi avallare nell’assemblea dei soci, crediti inesistenti) sono la prova evidente del reato di ricorso abusivo al credito. I soci pubblici, per l’accusa, promettevano sapendo di non poter mantenere per l’assenza dei presupposti giuridico-normativi per gli stanziamenti. Mario Formica ex vicepresidente di Aeradria ieri in aula ha spiegato che per i membri del consiglio quelle lettere - che «nessuno del Cda ha mai visto» erano «motivo di rassicurazione», visto che i soci pubblici in passato avevano sempre corrisposto agli impegni. «Li consideravano crediti certi ed esigibili».

Ma la giornata processuale è ruotata principalmente attorno all’ex presidente Vitali, anche in considerazione di quanto affermato nella scorsa udienza dal predecessore Nando Fabbri sulla possibilità da parte sua di rivedere o ridiscutere gli accordi presi. Opposta la tesi di Vitali secondo il quale lui non avrebbe avuto alcuna ragione di disattendere gli impegni ereditati. Qui, in ballo, c’è l’accusa di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (altra ipotesi vicina alla prescrizione). Per Vitali c’era solo da seguire un piano di pagamenti riguardo a spese (di responsabilità degli uffici), con due rate già versate per un quaranta per cento della somma totale.

Non avrebbe fatto altro, quindi, che dare corso a quanto pattuito da altri prima di lui. Vitali ha detto che non aveva ragione di dubitare della trasparenza di quegli atti, né - quando è stato il suo turno - nessuno lo ha messo in guardia su eventuali problemi. «Il nostro cliente - spiegano gli avvocati Moreno Maresi e Mattia Lancini - ha fornito ampie spiegazioni, riteniamo utile e chiarificatorio l’interrogatorio, così come la scelta di non evitare il confronto con la pubblica accusa». La prossima udienza (10 marzo) sarà ascoltato il professionista Santo Pansica (difeso dall’avvocato Alessandro Catrani) coinvolto nell’inchiesta perché sospettato di aver avuto un ruolo negli artifici contabili per nascondere lo stato di dissesto della controllata Air.

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