Rimini. Chiude la pasticceria Meluzzi, 75 anni di storia

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Si spegne un’altra luce a Rimini con la chiusura della storica pasticceria Meluzzi. A fondarla 75 anni fa Marcello che, nato nel 1909, era il più piccolo di 7 fratelli. Una vita piena di sacrifici e soddisfazioni ben dosate, la sua, dove non è mancato un pizzico d’avventura. Inseguendo il suo sogno, comincia infatti a lavorare a 9 anni, finché lo scoppio della guerra rischia di sparigliare le carte. Ma esonerato dalla leva militare, si trasferisce a San Marino, dove non solo diviene pasticciere degli inglesi, ma anche staffetta per i partigiani. «Li ricordava come gli anni più belli – racconta la figlia Manuela abbozzando un sorriso - anche perché era un bel giovane e di uomini sul Titano ce n’erano pochi». Terminate le ostilità che spazzano via la spensieratezza della gioventù, Marcello prosegue con determinazione, mettendosi d’accordo col futuro socio, Giovanni Zaghini. Sarebbe andato a Rimini ad aprire un’attività, pronto a tornare se qualcosa fosse andato storto. «Ma avvenne l’esatto contrario, - chiarisce Manuela - gli affari ingranarono bene e fu l’amico a raggiungerlo. Il primo negozio si trovava nel giardino dietro l’Arengo, dove un tempo sorgeva lo stabile del forno comunale. Mio padre affittò i vani dove si teneva il carbone e nello stesso anno, il 1946, si sposò. La torta nuziale? «Fu decorata con 6 fiocchi, dettaglio che poi venne inteso come un segno, quando il matrimonio fu allietato da altrettanti figli».

Una fucina di talenti

Intanto nel 1970 Marcello rileva la parte del socio. La svolta era arrivata una decina di anni prima, spostando il negozio in piazzetta San Martino, prima della sede definitiva dal 1998 in via del Cavallo. Una fucina di talenti dove «formò generazioni di pasticcieri a partire da Giordano Varliero, fino ai giovani che hanno aperto il Jolly, passando da Alfonso de La casa del dolce». Era un capo generoso, ricorda Manuela, che aiutò tanti dipendenti a costruirsi casa, prestando soldi senza battere ciglio. “Me li ridarai, quando potrai”, era solito dire. L’altro insegnamento che dispensava? «Mettere sempre in regola i lavoranti». Caratteristiche che lo facevano amare e rispettare, osserva l’erede. «Basti pensare che è morto il 31 marzo del 1991, durante le vacanze pasquali e pur essendo difficile avvisare tutti, la chiesa era gremita».

Tra musica e dolcezze

Sul versante professionale i suoi cavalli di battaglia erano il tronchetto natalizio ma anche le meringhe, «create partendo dall’insegnamento bellico “non si spreca niente”». D’estate lavorava invece a pieno ritmo per gli alberghi, «sfornando specialità fatte sul momento in un’epoca in cui non c’era il frigo e le domeniche si festeggiavano portando a casa un vassoio di leccornie ancora calde». Un’altra passione? Mentre impastava, canticchiava l’opera e negli anni d’oro era un affezionato del Teatro Galli, sedendosi in piccionaia, dove si vedeva poco ma l’acustica era perfetta. Tant’è che durante i restauri ripeteva affranto: “Mi toccherà morire senza tornarci più”. «Certo è che ha lavorato sino alla fine - nota - prendendosi cura anche della famiglia d’origine. Se era un padre severo, a cui bastava uno sguardo per mettere a tacere, si è rivelato invece un nonno tenerissimo. La femminuccia camminava al suo fianco intrecciando come lui le mani dietro la schiena».

Addio alla storica attività

Ma perché tirar giù per sempre la saracinesca? «Al timone siamo rimasti io ed i miei fratelli, Massimo e Maria Annunziata – risponde -. Com’è giusto, i giovani hanno scelto altre strade. Ed ora parlano i numeri: ho 58 anni e 39 di versamenti ma non l’età per andare in pensione. I miei fratelli sono persino più grandi di me, di 10 e 15 anni». È l’ora di appendere la sac à poche al chiodo, insomma. «Il nostro è un impegno fisico e mentale per un minimo di 10 ore al giorno – allarga le braccia - dove i problemi maggiori si chiamano burocrazia e tasse. La pandemia invece non ci ha influenzato, anche se i sostegni erano scarsi». I clienti? «Mi hanno domandato: “Dove andiamo adesso?”. Ad una famiglia che conosco da 5 generazioni ho dato di cuore le ricette per il nipotino allergico al lattosio. Perché la nostra storia e l’energia di mio padre ora proseguirà anche così, – conclude con la voce arrochita - confluendo in altre storie ed in altre vite».

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