Rimini. Caso passaporti, Lavezzaro: "Ma è così in tutta Italia"

«A Rimini non c’è un caso passaporti. Ci sono le difficoltà che vivono tutte le questure d’Italia. Il motivo? Non ce n’è uno solo ma almeno quattro: la Brexit, il ritorno alla vita, alla voglia di viaggiare dopo la pandemia, la mancanza di alcuni materiali per la loro realizzazione, Comuni che impiegano anche un anno a rilasciare una carta d’identità elettronica per cui molti cittadini decidono di rivolgersi a noi per avere un documento di riconoscimento valido. Caso questo, preciso, che non riguarda la nostra provincia ma che contribuisce a ingolfare la macchina dei rilasci». Il questore Rosanna Lavezzaro, così come tutti i suoi colleghi, la scorsa settimana ha avuto una video conferenza con il capo della Polizia Lamberto Giannini per fare il punto della situazione e dare ulteriore impulso alle azioni già intraprese. Cosa che la Questura di Rimini ha già avviato da tempo. «Questa situazione – sottolinea il massimo responsabile dell’ordine pubblico in provincia – io e i miei collaboratori non l’abbiamo mai sottovalutata. Ed infatti abbiamo predisposto delle aperture straordinarie dei nostri uffici per tutto questo mese, anche per marzo. Azioni che ho potuto fare grazie alla piena disponibilità e consapevolezza della situazione riscontrata in tutto il personale interessato a questo ulteriore sforzo. Che io ho chiesto e ottenuto di poter ringraziare facendo aumentare le ore di straordinario riconosciute e pagate». L’impegno c’è, è massimo ed è testimoniato dal fatto «che a Rimini entro 90 giorni dalla presentazione della richiesta si ha l’appuntamento e tre settimane dopo il passaporto viene consegnato. Poi vorrei precisare una cosa cui tengo molto. Non c’è stata una sola persona presentatasi ai nostri sportelli facendo presente di aver bisogno urgente del passaporto per motivi di lavoro o di salute che non sia stata ascoltata e messa in cima alle priorità dell’ufficio per farle ottenere il documento nel più breve tempo possibile».

Concause

Difficile pensare che una delle componenti della crisi sia stata data dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. «Eppure – commenta Lavezzaro – i dati ufficiali ci dicono che il 27 per cento complessivo dei rinnovi e delle nuove richieste di passaporto è fatto proprio da persone che hanno rapporti con il Regno Unito. Anche la voglia di tornare a viaggiare dopo la pandemia ha portato a un aumento del carico di lavoro. Quando potremo ritornare a consegnare i passaporti in 45 giorni come prima della pandemia? Credo al più tardi tra sei mesi». Come spiegare al viaggiatore che non riesce a prendere l’aereo per andare in vacanza a Dubai, che il ritardo nella consegna del suo passaporto è un problema legato alla globalizzazione dell’economia mondiale? Eppure. Se il passaporto tarda a finire nella sua valigia in gran parte lo si deve alla carenza di microchip causata da diversi fattori; dalla corsa all’acquisto dei dispositivi elettronici necessari per lavorare da casa durante la pandemia, ai blocchi globali degli impianti di produzione chiusi a causa del Covid con conseguente esaurimento delle scorte. Non trascurabile, infine, l’accumulo di chip scatenato dalle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Corsa all’accaparramento ulteriormente rinforzatasi a causa delle mire di Pechino su Taiwan che detiene il 92% della capacità produttiva di semiconduttori avanzati a livello planetario, necessari tra le altre cose alla produzione di smartphone, Pc e auto. Settore quest’ultimo che anche nel 2023, secondo le ultime stime, rischia di perdere 2,7 milioni di vetture per la mancanza di quei semiconduttori evoluti che sono però prodotti ricorrendo ad una tecnologia di cui alcune aziende europee in Olanda e Germania che ne hanno il monopolio globale.

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