Rimini. Capo di azienda lavora da 70 anni, "ma continuo a spazzare"

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«Mai smettere di lavorare». È questa la ricetta per la felicità che farà scolpire sulla sua lapide. Parola dell’imprenditore 83enne Alvaro Anelli che lavora da 70 anni e non fa vacanze da mezzo secolo dopo avere fondato con i fratelli l’azienda edile con i due fratelli, Bruno e Alberto. Dopo aver creato un impero con in fratelli non disdegna di pulire, armato di ramazza, il marciapiede pubblico davanti a una delle quattro ditte di materiali edili, quella di via Marecchiese, nella frazione clementina di Sant’Ermete.

Anelli, perché pulisce lei quando potrebbe affidare il compito ad altri?

«Perché si lavora dalle 5.30 di mattina fino alle 21. Non mi scoraggia il sole a picco e il lavoro, anche quello più umile, mi esalta. Lo faccio perché sono ancora in forma e per dare un esempio ai miei dipendenti, in tutto una sessantina, e ai miei figli che sono sette, perché nel computo considero anche i miei 4 nipoti, una grande famiglia».

Dal 2 giugno 2004 lei è Cavaliere del Lavoro, è un traguardo che la rende orgoglioso?

«È un titolo di cui non faccio mai parola, non è stampato neppure sui biglietti da visita. Sono ancora un operaio, quello a cui tengo e che mostro con orgoglio è il mio primo libretto di lavoro. A farlo mi accompagnò il mio povero papà Francesco che faceva il manovale, so a memoria ogni parola scritta con la penna stilografica. Sono andato a lavorare il 12 novembre 1952 a Rimini, in via Sarti 11, avevo 12 anni. Adesso in qualsiasi settore l’automatizzazione caratterizza ogni fase del processo produttivo annullando la fatica umana, ma allora portavo sulle spalle sacchi di cemento da 50 chili. Non ho potuto studiare ma non mi sono mai tirato indietro quando c’era da rimboccarsi le maniche».

Il suo primo impiego?

«Cercavano un garzone, così ho imparato il mestiere e dopo tanti anni sono ancora qui a dare l’esempio. Mentre era il 15 maggio 1960 quando è decollata l'avventura dei fratelli Anelli, a Rimini, in via Bastioni settentrionali 35 di fronte a porta Galvana. Era un magazzino di 50 metri quadri, subentrammo a chi, dandoci fiducia, si era ritirato. Il resto è noto. Con i nostri materiali edili è stata costruita mezza città, dalle case agli alberghi, facevamo credito e andavamo sempre incontro ai clienti».

Cosa è cambiato?

«Una volta conoscevamo solo il dialetto e la parola data aveva un grande valore, ma non rimpiango nulla: bisogna stare al passo con i tempi».

Cosa manca ai giovani di oggi?

«La grinta, una qualità da sfoderare soprattutto nelle difficoltà. Anche se non si è abbastanza intelligenti bisogna compensare con il dinamismo. Invece alcuni ragazzi vogliono vivere bene, tra ristoranti e divertimento, ma senza affrontare gavetta e sacrifici. Al contrario la miglior lezione è imparare un lavoro partendo dall'ultimo gradino. Guardi me, sono 50 anni che non vado in vacanza, anzi non mi ricordo neppure qual era l’ultima meta. Vivo secondo il mio motto: alle 7 del mattino è già notte e alle 21 è ancora giorno. Lo sa? Avevo cominciato a buttar giù le mie memorie ma mi manca il tempo per proseguire».

Quando si è sentito arrivato?

«Non è capitato, sono giovane e voglio imparare ancora. Nel cammino mi ha aiutato la fede e la dolce Sara, mia moglie da 53 anni: porto ogni mattina in azienda i suoi biscotti. Negli ultimi 28 anni sino alla pandemia, abbiamo sempre invitato un prelato a celebrare la messa del 1° maggio. Non dimenticherò quel parroco che definì l’azienda una cattedrale del lavoro».

Le avanza tempo per un hobby?

«Fino a 4 anni fa andavo in bici e la domenica macinavo cento chilometri. Ora il fisico non ci aiuta, ma si può continuare a pedalare in mille altri modi».

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