Rimini capitale della cultura 2026, la candidatura ufficiale

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L’anno è il 2026. E Rimini si candida a diventare “Capitale della Cultura”. Un sogno accarezzato un paio di anni fa e naufragato fra le nebbie della pandemia. Ora è ufficiale. Lo annuncia il sindaco Jamil Sadegholvaad dal palco del Teatro Galli nella serata dedicata al “Sigismondo d’oro”, il premio consegnato ai cittadini più illustri: Fernanda Argnani (l’insegnante di lingue straniere) e Aureliano Bonini (il pioniere degli studi legati al turismo).

Entrambi, racconta il primo cittadino, hanno potuto contare su “amici speciali” in grado di invertire un destino che pareva segnato. Un destino al quale anche Rimini spesso si è opposta, data per vinta e al tappeto tante volte. Invece? «Siamo ancora qua»: 150.467 residenti, 68.450 famiglie, 20mila piccole e medie imprese. «Non siamo normali – assicura Sadegholvaad – perché solo noi siamo venuti fuori così e tutti gli altri tentano di imitarci».

Largo ai due premiati

«Appena nati il destino aveva già deciso per loro – ricorda il sindaco –. Lei (Argnani), figlia di gente di campagna, doveva sposarsi giovane con un bel contadino e fare figli. Non c’era una regola scritta, ma così era. Lui (Bonini) con il posto garantito in banca. Due dopoguerra differenti, uguale traiettoria esistenziale. Ma esistono patti in deroga con la storia che ci tocca».

Succede. E quando succede è perché esistono persone che alla “sliding doors” (il film) cambiano la traiettoria della vita. «Queste persone esistono – assicura Sadegholvaad –. Sono gli “amici geniali” che magari non finiscono dentro i romanzi di successo, ma si chiamano, ad esempio, Ester e Demos».

Ester Zappaterra è la maestra elementare di Fernanda Argnani. «È lei che va a parlare al padre: “Guardi, sua figlia è eccellente. Deve continuare a studiare”».

La prima risposta è tipica di quel tempo: non abbiamo i soldi. Ma poi la famiglia si riunisce e Fernanda arriva alla laurea.

L’amico geniale di Aureliano Bonini si chiama Demos ed è il suo papà. “Ascolta – gli dice – il mondo si divide in due categorie: chi sa l’inglese e chi non lo sa”. Le tappe successive sono un master a Londra e tornato a Rimini una carriera differente rispetto allo sportello bancario.

“La cultura siamo noi”

Seguendo il filo dello stesso ragionamento il primo cittadino passa alla città. «Spesso si discute di cosa sia Rimini, di dove vada Rimini, da dove provenga. Le statistiche faticano a incasellarci, come un numero 10 che non sai mai sia più centrocampista o punta, ma sai comunque che è un fuoriclasse».

E i “fuoriclasse” stupiscono. «Quante volte hanno detto che eravamo finiti? Distrutti dai bombardamenti, investiti dal ciclone mucillagine, via gli stranieri, scomparse le discoteche, riminizzare che finisce nel vocabolario, eterna pietra di paragone per località che dicono “non vogliamo essere come Rimini, ma poi cercano (invano) di copiarci».

Come mai? «In qualche modo Rimini è un ponte tra la tradizione e il nuovo, sempre in movimento. Ed è il tempo di affermare senza vergogna tutto questo».

Un preambolo che alla fine porta il sindaco a lanciare il messaggio per il 2023 che verrà. «Una delle cose più importanti che accadrà l’anno prossimo sarà la candidatura di Rimini a Capitale delle Cultura 2026. Ufficiale. Un obiettivo inimmaginabile solo 20 anni fa. Ci candideremo per quello che siamo, presentando le eccellenze storiche, artistiche, culturali della città e di tutto il territorio accanto a tutto quello che non è mai stato consuetudine e tradizione. Dovrà emergere l’assoluta unicità di Rimini di fare cultura, elevando a elemento collettivo di riflessione quello che prima non entrava nei musei, nelle accademie, nelle biblioteche». Qual e a questo punto il filo che unisce un po’ tutto, da Fernanda ad Aureliano? «La città stessa – conclude Sadegholvaad – è l’amica geniale grazie alla quale il resto del Paese ha potuto guardare al mondo con occhi diversi, arricchendosi e convincendo che il destino non è mai scritto e che si può ogni volta rinascere. Rimini Capitale della Cultura non è un premio, non è un riconoscimento ma l’indicazione di una frontiera per la quale ci siamo preparati negli anni e che per questo deve diventare un orgoglio e un passaggio fondamentale nella vita della comunità locale».

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