Rimini. Bimbo morto, dopo 18 mesi niente perizia: medico indagato

Rimini

Un medico-legale, consulente di giudici e pubblici ministeri anche in altri parti d’Italia, è indagato per rifiuto e omissione di atti di ufficio per il mancato deposito delle conclusioni riguardanti l’autopsia di un bambino morto a Rimini, a soli due anni di età, dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Incomprensibilmente lo stimato professionista, che vive e lavora in Liguria dove ha incarichi di responsabilità, nonostante i ripetuti solleciti, a distanza di un anno e mezzo dall’incarico non ha ancora depositato le sue valutazioni sulla vicenda. L’inchiesta giudiziaria, coordinata dal pubblico ministero Davide Ercolani, si è conseguentemente arenata. Una situazione inaccettabile per i familiari del bambino, comprensibilmente afflitti da un dolore insanabile, ma anche dalla rabbia per i ritardi. Il padre Riccardo Vendemini nei mesi scorsi ha rotto il suo dignitoso silenzio. Vuole sapere di che cosa è morto Alessandro. Sia la procuratrice Elisabetta Melotti sia il magistrato titolare delle indagini hanno scritto e telefonato all’anatomopatologo, scelto fuori piazza per evitare conflitti di interesse, ma alla fine evidentemente non è restato altro da fare che aprire un’indagine proprio su di lui. Con il medico si sono fatti avanti via via anche l’avvocato Massimiliano Orrù che tutela i genitori, e perfino i difensori dei cinque indagati, medici e sanitari dell’ospedale “Infermi” di Rimini, raggiunti da tempo da informazioni di garanzia e a loro volta vittime di una situazione “sospesa”. Niente di paragonabile, ovviamente, alla drammatica condizione dei genitori del piccolo. «Così ci viene negato il diritto ad avere giustizia – si è espresso pubblicamente il padre - e a provare ad andare avanti con una vita che non è più la stessa e non sarà mai più facile». La stranezza della situazione alimenta i peggiori sospetti, specie dopo le “bufale” circolate subito dopo la morte del piccolo che parlavano a sproposito di fantomatiche malattie ereditarie, in realtà inesistenti. «Forse dall’autopsia ha trovato qualcosa di scomodo, una verità che sarebbe meglio non rivelare? – si domanda la famiglia Vendemini - Però questo non gli dà il diritto di bloccare le indagini. Io voglio giustizia per mio figlio e rispetto per Alessandro». A Rimini c’è un precedente analogo: una dottoressa, chiamata a rispondere della mancata consegna delle conclusioni di un’autopsia, finì a processo. Il magistrato che l’aveva nominata come propria consulente dopo un’attesa durata anni aprì infatti un procedimento a suo carico che si concluse con una condanna in primo grado a quattro mesi di reclusione. L’imputata per giustificarsi, in quel caso, aveva fatto cenno all’intrusione di un pirata informatico nel suo computer.

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