Rimini, beve dal vicino: avvelenato col metadone

Rimini

«Il vicino di casa, un mio ex collega, mi ha offerto un bicchiere di sambuca: non so che cosa c’era dentro». Sono le parole che un giovane cuoco ha detto al personale dell’ambulanza prima di sprofondare nello stato comatoso nel quale ancora si trova. Ora, mentre lui lotta tra la vita e la morte nel reparto di Rianimazione dell’ospedale “Infermi” di Rimini, i carabinieri della stazione di Coriano cercano di risolvere il giallo del suo avvelenamento. La sostanza ingerita è metadone: il contenuto di un intero flacone, assunto - stando a quanto riferito dal diretto interessato - inconsapevolmente. Il paziente, un cuoco lombardo di 28 anni, non è un tossicodipendente e da tempo si era imposto di non bere bevande alcoliche. Lo strappo alla regola rischia di costargli caro. Per venire a capo della vicenda il comandante Francesco Liguori ha ascoltato tutti i coinvolti nella vicenda per poi presentare un quadro dei fatti all’autorità giudiziaria (il caso è assegnato alla pm riminese Annadomenica Gallucci). Gli interrogatori proseguiranno anche oggi e non si escludono sviluppi. Il padre del cuoco, nel frattempo, si è rivolto all’avvocato Stefano Caroli: «Sono convinto che qualcuno abbia tentato di uccidere mio figlio: lui non fa uso di droga».
Tutto avviene, alla fine del periodo del lockdown, in una palazzina familiare di Coriano. Il cuoco lombardo è ospite dell’appartamento del pizzaiolo che lavora con lui in un ristorante di Riccione. In casa c’è anche una ragazza che studia da infermiera. Nell’abitazione di sopra abita il fratello del pizzaiolo. È ai domiciliari, è seguito dal Sert e ha qualche problema di salute. In passato anche lui è stato collega del cuoco, tra loro - però - non corre buon sangue. «Ho bisogno che qualcuno mi aiuti a medicare la ferita» è la richiesta che invia l’uomo, impossibilitato a lasciare casa. La ragazza si offre di dare una mano e il cuoco l’accompagna: mentre lei disinfetta la lesione del padrone di casa, lui gli sistema la cucina. A un certo punto i due uomini si ritrovano da soli. Come offerta di pace quello ai domiciliari tira fuori una bottiglia di Sambuca. L’altro non riesce a dire di no. E di nascosto della ragazza accetta di bere un bicchiere. Poi, una volta rientrato nell’altro appartamento, comincia a stare male, non risponde agli stimoli, si assopisce. Di fronte alle domande spiega: «Ci sono ricascato, ho bevuto della sambuca». Non è quella però ad averlo ridotto così. Quando l’aspirante infermiera chiama il 118, l’amico ha già le labbra viola. “Metadone”, dicono i medici. Ovvio che i carabinieri per prima cosa vanno dal vicino a chiedere delle spiegazioni. Lui cade dalle nuvole e poi spiega: «Metadone? Mi è sparito un flacone. Deve avermelo rubato prima di uscire». La speranza è che il cuoco si svegli e possa raccontare la verità. I carabinieri non escludono, al contrario di amici e parenti del giovane, l’ipotesi dello spaccio. L’idea di un “dispetto” sembra folle, le conseguenze rischiano di essere tragiche.

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